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09 marzo 2019

La scomparsa di Emanuela Orlandi e la tomba al cimitero teutonico. Il fratello Pietro: “Il Vaticano non ci risponde da mesi”

di SERGIO TRASATTI/ La famiglia di Emanuela Orlandi, tramite il suo legale Laura Sgrò, ha presentato formale istanza al segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, per riaprire una tomba nel cimitero teutonico, che si trova all’interno delle Mura vaticane. Secondo una lettera anonima, in quella tomba potrebbe esserci il corpo della ragazza scomparsa il 22 giugno del 1983. Alla luce di questi nuovi sviluppi, il giallo è stato nuovamente approfondito a “La Storia Oscura” su Radio Cusano Campus. Pietro Orlandi, al microfono di Fabio Camillacci, ha fatto alcune precisazioni e rivelazioni importanti: “In realtà -ha esordito il fratello di Emanuela Orlandi- questa lettera anonima che abbiamo ricevuto, non è altro che la conferma di altre segnalazioni che avevamo avuto nei mesi precedenti. Segnalazioni che ci sono arrivate da fonti interne al Vaticano e soprattutto non anonime; ecco perché abbiamo avanzato istanza scritta alla Segreteria di Stato vaticana. E non è la prima istanza che presentiamo bensì la terza e a oggi non abbiamo ancora ricevuto risposta a nessuna delle tre. Tutto ciò conferma che il Vaticano non intende assolutamente collaborare per la ricerca della verità. Noi sappiamo da tempo di questa tomba al cimitero teutonico dove potrebbe essere sepolta mia sorella, così abbiamo chiesto un’indagine interna, una piccola collaborazione, anche riservata, per capire perché queste persone ci hanno segnalato che Emanuela è sepolta in quel camposanto”.
La famiglia Orlandi chiede di aprire quella tomba. Pietro Orlandi a tal proposito ha ribadito: “Ovviamente chiediamo di aprire la tomba. A noi direttamente non ci hanno mai risposto, contrariamente a quanto detto ai giornalisti dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede Alessandro Gisotti, il quale ne ha parlato solo perchè sollecitato dai cronisti quando si è saputo della nostra istanza scritta. Ma ripeto, sono mesi che noi attraverso il nostro avvocato chiediamo al Vaticano di fare chiarezza su quella tomba e sulle segnalazioni che abbiamo ricevuto. Perché questo muro di gomma? Emanuela è una cittadina vaticana è iscritta all’anagrafe vaticana, forse l’unica cittadina vaticana rapita, possibile che non ci sia interesse da parte di quello Stato a cercare di scoprire cosa sia successo? Non fanno altro che dire ‘per noi il caso è chiuso, ci deve pensare lo Stato italiano perché è scomparsa in Italia’. E’ assurdo tutto questo -ha aggiunto Pietro Orlandi a Radio Cusano Campus- è come se nel caso Regeni lo Stato italiano dicesse alla famiglia ‘guardate è successo in Egitto quindi se ne deve occupare la magistratura egiziana per noi il caso è chiuso’.
Strane coincidenze. Orlandi ha poi sottolineato: “Nell’ultima istanza abbiamo anche ribadito la necessità di un’audizione per alcuni cardinali che sono ancora in vita e che sanno che fine ha fatto Emanuela. Tra loro c’è monsignor Piero Vergari, che da rettore della basilica di Sant’Apollinare si attivò per far avere all’ex boss della Banda della Magliana Enrico De Pedis l’inusuale sepoltura nella cripta della stessa basilica. Ma tu guarda che strana coincidenza, in quel cimitero teutonico, tra le varie persone che possono essere seppellite lì, ci sono anche quelle della confraternita che ha sede in quel camposanto. E chi fa parte di quella confraternita? Proprio don Vergari che in passato fu anche indagato per il sequestro di Emanuela. E forse non è nemmeno un caso che la storia delle ossa venute alla luce nella Nunziatura Apostolica d’Italia, sia uscita dopo che l’avvocato Sgrò aveva annunciato al Vaticano la nostra intenzione di presentare istanza scritta per la tomba al cimitero teutonico. Di fatto la storia della Nunziatura ha rallentato tutto su quell’altro fronte. E’ chiaro che dietro la scomparsa di Emanuela c’è un forte intreccio tra Stato, Chiesa e criminalità. Questo ha portato a occultare la verità per oltre 35 anni. E’ come un vaso di Pandora: se lo apri escono fuori tante cose brutte. Ricordo che circa un mese dopo la scomparsa di mia sorella, ci fu un palese invito tra la Presidenza del Consiglio e il Vaticano in relazione alla scomparsa di Emanuela a ‘non aprire quella falla che difficilmente si potrà chiudere’. E’ chiaro -ha concluso Pietro Orlandi- che sapevano cosa era successo ed era qualcosa da proteggere, da tenere nascosta per sempre”.

08 marzo 2019

USTICA / BONFIETTI: LA FRANCIA TIRI FUORI LA VERITA’


A quasi 40 anni dalla tragedia di Ustica che nel 1980 provocò la morte di 81 innocenti, continua la penosa odissea dei familiari delle vittime.
Lo Stato continua ad essere un muro di gomma: come è successo per le indagini e i vari processi, così anche sul fronte dei risarcimenti negati. L'ultimo caso è quello della moglie e dei tre figli di Carlo Parrinello. La giustizia civile ha stabilito un risarcimento da 1 milione 990 mila euro, di cui i ministeri della Difesa e dei Trasporti fino ad oggi hanno pagato solo 430 mila euro. Per la restante parte fanno orecchie da mercante e non vogliono sganciare altri euro.

La famiglia, a questo punto, ha attivato una ovvia procedura giudiziaria, notificando ai due dicasteri  una serie di pignoramenti, anche presso terzi (vale a dire ad alcuni debitori della Difesa e dei Trasporti).

Perchè si oppongono al pagamento? Secondo l'avvocatura dello Stato quello che è stato pagato basta e avanza (nonostante vi sia una sentenza ad hoc), visto che alla famiglia viene versato un assegno mensile di 1.600 euro. Motivo per cui bisogna ricalcolare tutto, ovvero sottrarre a quell'ammontare ancora dovuto tutte le mensilità che potranno in via teorica essere percepite fino al compimento dei 75 anni di età di ciascun componente del nucleo familiare.
Aritmetiche di Stato…

Su un altro fronte, la storica presidente del comitato che raggruppa i familiari delle vittime, l'ex deputata del Pd Daria Bonfietti, fa un appello al governo: non chiedete alla Francia solo l'estradizione dei terroristi che da decenni ospita, ma anche di dire finalmente la verità sulla strage di Ustica. Una verità – rammenta Bonfietti – che perfino l'ex capo di Stato Francesco Cossiga nel 2008 parzialmente svelò, indicando la pista della "portaerei francese" dalla quale partì il missile che abbattè il DC9 Itavia con gli 81 innocenti a bordo.

Una pista che addirittura nel 1991 l'allora parlamentare del PSI, Franco Piro, in un'intervista aveva rivelato alla Voce. Secondo Piro si trattava della portaerei Clemanceau.
E tre anni fa un documentario di Canal Plus ha ribadito tutte le circostanze.
Come mai, fino ad oggi, la Francia ha coperto e depistato? Sciocche e spesso infantili polemiche a parte, non sarebbe il caso di chiedere ai francesi qualcosa di serio, ossia la verità sugli 81 morti di Ustica?

Nel prossimo incontro sbandierato da Matteo Salvini sia con l'ambasciatore "di rientro" da Parigi che nel meeting con il collega francese degli Interni, non varrebbe la pena, in quell'occasione, far la voce grossa e pretendere dai transalpini carte & documenti su Ustica?

In apertura Daria Bonfietti

To see the article visit www.lavocedellevoci.it

07 marzo 2019

GIALLO ALPI / I SERVIZI SEGRETI SANNO, COPRONO, DEPISTANO E NON SVELANO LA “FONTE”

I servizi segreti di casa nostra sanno tutto sull’omicidio di Ilaria Alpi Miran Hrovatin ma non dicono una parola. Tacciono. E quindi coprono non solo i killer di Mogadiscio ma soprattutto i mandanti di quel tragico duplice assassinio di ormai quasi 25 anni fa.
La circostanza emerge ora in modo clamoroso dalla nuova richiesta di archiviazione presentata il 4 febbraio scorso dal pm della procura di Roma Elisabetta Ceniccola e controfirmata dal procuratore capo Giuseppe Pignatone. Che già avevano presentato una analoga richiesta un anno fa. Ai confini della realtà.
Per la serie: si sa bene che qualcuno sa e copre, ma invece di completare l’inchiesta e portare davanti ad un tribunale chi mente e svia le indagini, viene chiesta l’archiviazione definitiva del caso. Allucinante.

Il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone.
Ma entriamo di nuovo nella autentica “selva” di carte e faldoni giudiziari – come la definiscono gli stessi inquirenti – per dare un’idea completa del depistaggio nel depistaggio che sta per essere portato a termine.
Un anno fa, appunto, la richiesta di archiviazione del tandem Ceniccola-Pignatone, inviata al gip per la decisione finale. Passano alcuni mesi per individuare il nome del gip incaricato, alla fine si tratta di Andrea Fanelli. Il quale, per le sue indagini, chiede anche una proroga.
Si tratta di verificare quanto è emerso in altre indagini svolte nel 2012 dalle fiamme gialle per conto della procura di Firenze, in particolare a base di intercettazioni. Al telefono parlano alcuni somali tra di loro ed anche con Douglas Duale, il legale di Hashi Omar Assan, il somalo ingiustamente accusato del duplice omicidio, in galera da innocente per 16 anni. Al centro delle conversazioni il caso Alpi, e anche un compenso da 40 mila raccolto a favore dell’avvocato nella comunità somala per pagarne le forti spese sostenute per difendere Hashi.
Incredibile ma vero, quei matateriali raccolti dalle fiamme gialle fiorentine, passati alla procura gigliata nel 2012, ci hanno messo la bellezza di 6 anni per arrivare alla procura competente, quella di Roma, titolare del caso Alpi-Hrovatin!
Altre indagini svolte negli ultimi mesi per accertare le eventuali responsabilità dei militari italiani allora presenti a Modadiscio, e anche dei nostri civili, in particolare sul sospettato numero uno da sempre, l’affarista Giancarlo Marocchino, non approdano a nulla. Addirittura si scopre che Marocchino ha vinto alcuni contenziosi legali per calunnia, visto che il suo nome era stato tirato in ballo nei primi anni!

Giancarlo Marocchino
Insomma, nessun ragno viene cavato dal buco nell’anno di ulteriori indagini ordinate dal gip Fanelli. Ed ora, il 4 febbraio, il pm Ceniccola deposita l’ennesima richiesta di archiviazione del caso, che dovrà ancora una volta passare al vaglio dell’ennesimo gip. Altri mesi di attesa.

LA FONTE SUPERCOPERTA PER 22 ANNI DAI SERVIZI
Intanto, però, è estremamente istruttivo leggere le “motivazioni” messe nero su bianco dal pm Ceniccola e controfirmate da procuratore capo Pignatone. A riprova che il porto delle nebbie è nuovamente saldo e forte nella capitale.
Prima notazione: le ultime indagini sono state affidate il 27 giugno 2018 da Fanelli al Reparto Antiterrorismo del Ros dei carabinieri, che ha depositato una “esaustiva informativa” – come dettaglia il pm – a fine dell’anno scorso, ossia il 13 dicembre 2018.
Andiamo subito al cuore del problema, ossia che i servizi segreti sanno e coprono.
Scrive Ceniccola: “L’Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna(AISI, ndr), con foglio riservato del 6 settembre 2018, ha espresso la volontà di continuare ad avvalersi della facoltà di non rivelare legeneralità della risorsa fiduciaria citata nella nota del SISDE del 3 settembre 1997. Il Servizio, argomentando le motivazioni a supporto della propria decisione, ha evidenziato l’irreperibilità del soggetto e, quindi, l’impossibilità di chiedere allo stesso il consenso (negato in precedenti circostanze simili a quella in parola) ad essere sentito quale teste nell’ambito del procedimento in parola”.
Tradotto: l’AISI, vale a dire i nostri servizi segreti, l’ex Sisde, conosce bene dalla bellezza di 22 anni il nome dell’uomo di tutti i misteri, l’agente che sa quel che successe a Mogadiscio e quel che ha combinato Marocchino. Ma lo copre ancora, non vuole rivelare la identità del suo 007.
Il che significa insabbiare il caso per l’ennesima volta e infangare la memoria sia di Ilaria che di Miran. Ucciderli per una seconda volta.
C’è di più. Secondo i servizi quella fonte è “irreperibile”.

Chiara Cazzaniga
Proprio come lo è stata un’altra primula rossa del caso, Ali Rage, alias Gelle, che con la sua falsa verbalizzazione ha fatto sbattere in galera l’innocente Hashi; quel Gelle che è stato taroccato a tavolino dalla polizia di casa nostra, fatto verbalizzare davanti al pm ma non davanti ai giudici del dibattimento, quindi fatto scappare prima in Germania e poi in Inghilerra. Dove lo ha scovato l’inviata di “Chi l’ha visto” Chiara Cazzaniga: e solo quell’intervista ha permesso di riaprire il caso del somalo innocente e ha fatto sancire, al tribunale di Perugia, la totale estraneità di Hashi al duplice omicidio.
Introvabile Gelle allora, per le nostre “intelligence” (sic), introvabile la fonte che tutto sa sul giallo oggi. Ha scritto a chiare lettere di “depistaggio di stato” la sentenza di Perugia a proposito di Gelle un anno e mezzo fa. Ora siamo al secondo depistaggio, con la non-volontà di ri-trovare quella fonte addirittura messa nero su bianco.
Ma nelle 11 pagine firmate del pm Ceniccola per la richiesta di archiviazione c’è ancora molto da leggere.

ITALIANI BRAVA GENTE 
Sulla totale estraneità degli italiani allora presenti a Mogadiscio scrive: “La tesi della responsabilità ‘degli italiani’ nell’omicidio fu ipotesi più volte prospettata nel corso degli anni e sempre risultata priva di concretezza, come anche la responsabilità di Giancarlo Marocchino, il quale addirittura ha ottenuto un risarcimento per i danni subìti dalla diffusione di notizie diffamatorie. Fermo restando poi che l’ipotesi della responsabilità ‘italiana’ va circoscritta al mandato a commettere l’omicidio, poiché non è mai emerso alcun dubbio sulla esecuzione materiale da parte di un commando di cittadini somali”.
E par poco il “mandato a commettere l’omicidio”? D’altra parte, di quale “commando” si tratta, dal momento che fino ad un anno e mezzo fa l’unico colpevole era l’innocente Hashi?
E sullo stesso Hashi state a sentire cosa scrive il pm.
Con specifico riferimento all’estraneità al fatto di Hashi Omar Hassan ed alla falsità della testimonianza di Gelle, si tratta di notizie di pubblico dominio risalenti ad un periodo di gran lunga precedente alla messa in onda della trasmissione ‘Chi l’ha visto’ il 18 febbraio 2015”.  E il pm sciorina un lista di date che – a suo parere – fanno intendere come tutti sapessero dell’innocenza di Gelle, tranne i magistrati che l’hanno tenuto in galera fino alla sentenza di un anno e mezzo fa a Perugia.

Il testimone ‘taroccato’ Gelle
Fa riferimento, Ceniccola, alle tesi della parte civile, ossia i genitori di Ilaria Alpi, convinti dell’innocenza di Hashi: e ci mancherebbe, lo hanno sempre sostenuto contro tutto e contro tutti, soprattutto i togati. Fa poi riferimento alle istanze di revisione del processo avanzate dal suo legale, Douglas Duale: e ci mancherebbe anche stavolta. Quindi parla delle “voci di popolo” della comunità somala. Infine di una sola intervista in precedenza rilasciata da Gelle a un giornalista somalo che collaborava con la RaiMohamed Sabrie, in cui scagionava Hashi da ogni accusa. Ma quell’intervista non venne mai tenuta in alcun conto dagli inquirenti.
Fino all’intervista di Chiara Cazzaniga realizzata in Inghilterra, per “Chi l’ha visto”, a Gelle e grazie alla quale si è riaperto il caso sul killer di Mogadiscio.
Passiamo quindi alla spiegazione circa il macroscopico ritardo nella trasmissione delle informazioni raccolte nel 2012 a Firenze e arrivate a destinazione solo 6 anni più tardi. Nota il pm: “Si è provveduto ad accertare le motivazioni che hanno causato la ritardata trasmissione della nota della Guardia di Finanza di Firenze datata dicembre 2012 alla Procura di Roma, inoltro che l’allora Sostituto Procuratore di Firenze, Squillace Greco, aveva disposto con provvedimento del 19 dicembre 2012”. Il chiarimento è tutto a base di “semplici errori”, “fascicoli pendenti non rintracciati, “sviste”, “fatalità”: tutti termini che ben caratterizzano lo stato comatoso della giustizia di casa nostra.

UNA TOGA SCOMODA SUBITO SCIPPATA
Sulla “Fonte del Sisde” viene sottolineato dal pm: “L’AISI, che è subentrata al Sisde, ha riferito con nota riservata della irreperibilità della fonte con la conseguente impossibilità di interpellarla sull’autorizzazione a rivelarne l’identità. Nel corso delle indagini, e vieppiù nel corso dell’istruttoria della Commissione parlamentare d’inchiesta i cui atti sono stati integralmente acquisiti, sono emerse numerose fonti informative tra cui quelle della Digos di Udine e dei servizi di Firenze e di Trieste, alcune delle quali sono state poi escusse, le cui dichiarazioni sono risultate inutili, inattendibili e non verificabili”.
Non la pensava certo allo stesso modo il primo pm del caso Alpi, l’unico che abbia subito visto chiaro nella tragica story, Gianfranco Pititto, il quale aveva appreso molti dettagli interessanti e inquietanti proprio dalla Digos di Udine, che aveva avuto la prontezza di raccoglieri i primi, significativi elementi. Ma proprio per questo al giudice Pititto dopo pochi mesi è stata scippata l’inchiesta: era “ambientalmente incompatibile”, per il fatto che voleva accertare quelle verità troppo scomode, esplosive, sugli esecutori e soprattutto i mandanti eccellenti. Dopo alcuni anni Pititto lascia la magistratura perchè nauseato e scrive un libro che ricalca per filo e per segno il caso Alpi, “Assalto al potere”. Dopo Pititto si sono alternati altri 8 inquirenti, nessuno dei quali è riuscito – chissà perchè – a ritrovare il bandolo della matassa. Fino all’ennesima richiesta odierna di archiviazione.

Giuseppe Pititto
Che così tombalmente si conclude: “Ancora una volta non si può fare a meno di constatare che anche gli elementi pervenuti in limine, i quali apparivano idonei, se non all’identificazione degli autori materiali ovvero dei mandanti dell’omicidio, almeno ad avvalorare la tesi più accreditata del movente che ha portato al gesto efferato o ad esplorare l’ipotesi del depistaggio, si sono rivelati privi di consistenza. Invero gli stessi se non esplicitamente, almeno implicitamente, hanno trovato soluzione e risposta nella selva di atti confluiti nel procedimento”.
Chiude con la richiesta che “il Giudice per le indagini preliminari voglia disporre l’archiviazione del procedimento ed ordinare la trasmissione degli atti al proprio ufficio”.
Avrà mai la forza e la volontà, il prossimo gip, di districarsi nella “selva” e soprattutto di trovare e far parlare quella “fonte” dei servizi mai cercata? Vale più una qualche forma di privacy rispetto alla memoria di Ilaria e Miran? Cosa e chi protegono i servizi di casa nostra?  Perchè nel frattempo la politica, in coro, tace? E anche il governo gialloverde si allinea a tutti i precedenti nell’omertà? Per quale motivo, ancora un volta, i media alzano una cortina di silenzio omertoso?

Ecco a seguire la richiesta di archiviazione del pm Ceniccola.

06 marzo 2019

Bergoglio fa il globalista? Oscura il suo passato fascista

Papa FrancescoC’era una volta in Argentina un gesuita, Jorge Mario Bergoglio, che era schierato contro la teologia della liberazione, vicina al castrismo e negli anni ’70 aderì alla Guardia de Hierro, un’organizzazione peronista, di stampo nazionalista, cattolica, ferocemente anticomunista. In quegli anni a chi gli faceva notare che l’organizzazione a cui aderiva si richiamasse alla Guardia di Ferro, il movimento romeno del comandante Corneliu Zelea Codreanu, nazionalista e fascista, Bergoglio replicava: «Meglio così». Della sua vicinanza alla Guardia de Hierro ne parlò dopo la sua elezione il quotidiano argentino “Clarin”, mentre a Buenos Aires apparivano manifesti che ricordavano Bergoglio peronista. Per la cronaca, la Guardia di Ferro era un movimento di legionari, molto popolare in Romania negli anni trenta, ritenuto antisemita e filonazista, di cui si innamorarono in molti, non solo in Romania. Uno di questi fu Indro Montanelli che pubblicò sul “Corriere della Sera” una serie di entusiastici reportage pieni di ammirazione per Codreanu, nell’estate del 1940, a guerra inoltrata, smentendo la sua tesi postuma che dopo il ’38 si fosse già convertito all’antifascismo. Testi ripubblicati di recente, “Da inviato di guerra” (ed. Ar).
Evidentemente anche nell’Argentina dei Peron il mito di Codreanu, barbaramente assassinato, e del suo integralismo cristiano, aveva proseliti. Nel ’74, dopo la morte di Peron, il movimento legionario si sciolse. Era un gruppo di 3.500 militanti 15mila attivisti. Si opponevano ai guerriglieri di sinistra peronisti infiltrati dai castristi, seguaci di Che Guevara; loro erano, per così dire, l’ala di estrema destra del giustizialismo. Il gruppo della Guardia de Hierro era stato fondato da Alejandro Gallego Alvarez. Era un movimento che teneva molto alla formazione culturale dei suoi militanti e alla presenza tra i diseredati e gli ultimi. A Bergoglio fu poi affidata un’istituzione in difficoltà, l’Università del Salvador. Bergoglio la risanò e l’affidò a due ex-camerati della Guardia de Hierro, Francisco José Pinon e Walter Romero. In quegli anni Bergoglio era avversario dichiarato dei gesuiti di sinistra da posizioni nazionaliste e populiste. La sua avversione alla teologia della liberazione gli procurò l’accusa di omertà da parte del Premio Nobel Perez Esqivel e poi di collaborazionismo con la dittatura dei generali argentini, dal 1976 a 1983.
Lo storico Osvaldo Bayer dichiarò ai giornali: «Per noi è un’amara sconfitta che Bergoglio sia diventato Papa». E Orlando Yorio, uno dei gesuiti filocastristi catturato e torturato dai servizi segreti del regime militare, accuserà: «Bergoglio non ci Emidio Noviavvisò mai del pericolo che correvamo. Sono sicuro che egli stesso dette ai marinai la lista coi nostri nomi». Solo dopo la caduta della dittatura militare Bergoglio iniziò a prendere le distanze dal peronismo nazionalista. Ho tratto fedelmente questa ricostruzione dalle pagine del libro di Emidio Novi, “La riscossa populista”, appena uscito per le edizioni Controcorrente (pp.286, 20 euro). Novi sostiene che la deriva progressista e mondialista di Francesco nasca da questo passato rimosso. Secondo Novi, «Papa Bergoglio vuol farsi perdonare il suo passato “fascista” durato fino al 1980». Per questo non perde occasione di compiacere il politically correct, il partito progressista dell’accoglienza, l’antinazionalismo radicale.
Novi, giornalista di lungo corso e senatore di Forza Italia, è morto lo scorso 24 agosto investito da un camion della nettezza urbana in retromarcia mentre era al suo paese natale, S.Agata di Puglia. Il suo libro è uscito postumo, con una prefazione di Amedeo Laboccetta e a cura di suo figlio Vittorio Alfredo. Novi si definiva populista già decenni prima che sorgesse in Italia l’onda populista. Era populista al cubo, perché proveniva dall’ala più “movimentista” dell’Msi ispirata dal fascismo sociale: poi perché proveniva dal sud e da Napoli, ed era un interprete genuino dell’antico populismo meridionale, a cavallo tra la rivolta popolana e la nostalgia borbonica; e infine era populista perché consideravaIl giovane Bergogliol’oligarchia finanziaria, la dittatura dei banchieri e degli eurocrati, il nemico principale dei popoli nel presente. Perciò amava definirsi nazionalpopulista, e sovranista ante litteram.
In questo suo ultimo libro Novi si occupa in più pagine del «papulismo» di Bergoglio, della sua teologia «improvvisata e arruffona», della sua resa all’Islam, della sua ossessione migrazionista fino a definire Gesù, la Madonna e San Giuseppe come una famiglia di immigrati clandestini in fuga. Lo reputa «uno strumento dell’anticristo», funzionale sia al progressismo radical dell’accoglienza che al mondialismo laicista della finanza, mescolando il vecchio terzomondismo, l’internazionalismo socialista con il disegno global che ci vuole nomadi, senza radici, senza patria e senza frontiere. Ma del suo passato argentino, al tempo di Peron, del giustizialismo e poi della dittatura militare, Bergoglio preferisce non parlare. Anche gli estroversi a volte tacciono.
(Marcello Veneziani, “Camerata Bergoglio”, da “La Verità” del 31 gennaio 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).

01 marzo 2019

PANTANI / 100 ANOMALIE E ORA LE IENE, SI RIAPRE IL CASO SEPOLTO DALLA NOSTRA “GIUSTIZIA”?


Riusciranno le Iene a far riaprire il caso Pantani per la giustizia di casa nostra morto e sepolto?
Gli verrà restituito quel Giro d'Italia 1999 vinto sulle montagne e poi scippato dalla camorra sotto gli occhi della "giustizia"?
Verranno trovati killer e mandanti che quella notte di San Valentino di 15 anni fa esatti lo riempirono di coca fino a fargli scoppiare il cuore e con una "giustizia" capace solo di archiviare la "pratica"?
Potrà aver Giustizia, quella vera, la mamma del Pirata, Tonina, l'unica a non arrendersi e ad invocarla con tutte le forze che le restano?
Sarà molto difficile abbattere quel muro di gomma che ha sempre caratterizzato il caso.
Un muro costruito alla procura di Forlì e fortificato da una sentenza definitiva pronunciata dalla Cassazione due anni e mezzo fa, sul fronte del "suicidio" di Marco Pantani nel residence "Le Rose" di Rimini.

SE 100 ANOMALIE VI SEMBRAN POCHE
Il giallo dalle 100 anomalie, lo ha sempre definito l'avvocato della famiglia Pantani, Antonio De Rensis, una più sbalorditiva dell'altra, ma tutte fino ad oggi inutili per smontare la tesi del suicidio, che nonostante tutte quelle contraddizioni grosse come una casa hanno portato le toghe di primo, secondo e terzo grado a ottenere l'archiviazione perchè si tratta – secondo loro – appunto di un suicidio.

L'avvocato Antonio De Rensis
Una scena del crimine che somiglia non poco a quella di un altro "suicidio" che non sta in piedi, quello di David Rossi, il responsabile della comunicazione per il Monte dei Paschi di Siena cinque anni fa volato dal quarto piano di palazzo Salimbeni. E anche lui fino ad oggi "archiviato".
Sangue dappertutto, un corpo devastato dalle ferite, segni di trascinamento: tutti elementi incompatibili con il suicidio e invece classici di una lite furibonda, con ogni probabilità per far ingurgitare al Pirata la pozione killer, acqua & coca.
E poi cento altri elementi, appunto: dal giubbotto rosso che non gli apparteneva e ritrovato nella stanza del residence, all'involucro del cornetto Algida nel cestino dei rifiuti; dalle telefonate alla recption per chiamare i carabinieri alla possibilità che i suoi killer siano tranquillamenti passati dall'entrata posteriore del residence; dalle primissime indagini che con hanno cavato un ragno dal buco e solo inquinato la scena del crimine fino alle perizie che fanno a pungni una con l'altra.
Nella puntata delle Iene lo spacciatore di droga che solitamente forniva a Marco la coca, Fabio Carlino, conferma quanto ha sempre detto: il campione non mostrava assolutamente volontà suicidiarie, l'aveva visto un paio di giorni prima ed era su di tono, e poi la quantità di polvere bianca trovatagli nel sangue (una quarantina di grammi) era del tutto incompatibile con quanto usava sempre, segno di una coazione, della messinscena di un suicidio.
Poi alcuni elementi nuovi. L'intervista con una prostituta russa, Elena, che pare lo abbia incontrato il giorno precedente a quello di San Valentino: anche lei conferma che non gli era sembrato diverso dal solito. Quella di un barista che lo aveva visto passare davanti al suo esercizio uno o due giorni prima. E quella di un giovane dipendente di un residence, qualche giorno prima di un esame che era in procinto di affrontare all'università: sostiene che Marco ha dormito per una notte in quel residence (che, appunto, non è il "Le Rose"). Tutte circostanze in netto contrasto con la sentenza firmata dalla Cassazione, secondo la quale Marco non è uscito per giorni dal Le Rose, perchè era ultradepresso.
Basteranno, questi elementi raccolti dalle Iene, per far riaprire il caso? Staremo a vedere. Fatto sta che quella mole di "anomalie" sarebbe già dovuta abbondantemente bastare per documentare, per filo e per segno, che non si è trattato di suicidio, ma di omicidio in piena regola. Con ogni probabilità un delitto di camorra.

QUEL GIRO D'ITALIA COMPRATO DALLA CAMORRA
E passiamo all'altro filone di indagine: quello sul Giro del 1999 comprato, appunto, dalla malavita napoletana che aveva scommesso palate di miliardi di lire sulla sconfitta del Pirata. Una pista però mai battuta con determinazione a Forlì, che pure ha raccolto una significativa quantità di prove.
Tutto comincia con una lettera di Renato Vallanzasca alla madre del grande ciclista, in cui le scrive di aver saputo da un detenuto di camorra recluso nel suo stesso carcere come la malavita organizzata aveva puntato forte sulla sconfitta di Marco a quel Giro: "''O pelato non arriva a Milano", era il tam tam tra gli uomini dei clan.
La madre di Marco consegna la lettere alla procura di Forlì che apre un fascicolo. Dopo alcune non ardue ricerche viene inviduato il camorrista detenuto. Dal suo interrogatario arrivano conferme, parecchi dettagli e perfino i nomi di altri camorristi che conoscono la story. Vengono interrogati alcuni di questi, che confermano la combine, pur se quasi tutti "de relato": sono venuti cioè a loro volta a conoscenza della vicenda da altri camorristi.
Ed emerge un quadro allucinante. Quel prelievo di sangue di Marco a Madonna di Campiglio venne taroccato grazie alla complicità dei sanitari incaricati di esaminare il sangue: furono "convinti" con metodi non proprio inglesi ad alterare la provetta, sottraendone del plasma, in modo tale da modificare l'ematocrito, che "magicamente" salì a 53 rispetto al valore 48 dell'autoanalisi effettuata la sera precedente e al valore accertato dal laboratorio di Imola solo sei ore dopo il prelievo manipolato.
Tre i sanitari coinvolti, e un capo equipe: Wim Jeremiasse, medico olandese e grande esperto di gare internazionali fra Tour, Vuelta e Giro, che alla fine dell'esame sbottò: "oggi è morto il ciclismo".
"E proprio quel giorno anche Marco è morto, lo hanno ucciso", disse all'epoca – e ha confermato ai microfoni delle Iene – il suo amico e massaggiatore Primo Pergolato, che fornisce altri dettagli: "La sera prima Marco era tranquillissimo, soprattutto dopo aver effettuato l'autoanalisi che aveva riscontrato il valore di 48. Quindi nessun problema. La mattina dopo, il dramma e Marco che s'infuria, sbatte i pugni sul muro, urla la sua disperazione. Capisce che lo hanno incastrato. Mancavano ormai due tappe facili e poi c'era la vittoria: che senso mai avrebbe avuto prendere qualcosa quando tutti sapevamo che la mattina dopo c'era il controllo?".
Il dottor Jeremiasse, sconvolto dopo quell'esame, non ha mai potuto verbalizzare davanti ai giudici: perchè dopo appena otto mesi con la sua auto è finito in un lago semighiacciato sulle montagne austriache.
E una montagna di elementi, anche stavolta, per battere la pista del Giro d'Italia taroccato e la combine che anche un cieco può vedere. Ma cosa scrivono i pm di Forlì? Ci sono moltissimi elementi che lo documentano, ma non sono sufficienti per proseguire nelle indagini, quindi l'inchiesta va archiviata. Ai confini della realtà.

DA FORLI' A NAPOLI
Nel frattempo finisce in naftalina la solita sceneggiata che va in onda alla Commissione Antimafia. Tutti stupiti, tutti orripilati per quanto è successo. Avete mai letto lo straccio di un qualcosa partorito dall'Antimafia? Neanche uno starnuto.

La procura della repubblica di Napoli
L'avvocato De Renzis, comunque, non si arrende. Archiviata l'inchiesta di Forlì, ne chiede la riapertura, due anni e mezzo fa, alla procura di Napoli. Nella domanda, infatti, pone in risalto tutti gli elementi circa la combine di camorra per quel Giro maledetto. Rammenta che parecchi collaboratori di giustizia sono già ben noti alla procura partenopea per altre vicende malavitose. Quindi la procura di Napoli è la più adatta – anche per 'memoria' storica – a riaprire il caso.
Il fascicolo passa alla Direzione Distrettuale Antimafia partenopea ed è affidato al pm Antonella Serio. La Voce le chiese ragguagli sulla situazione un paio di mesi dopo l'assegnazione di quel fascicolo bollente. Così rispose: "Il procuratore facente funzione tiene molto al caso che è ora alla mia attenzione. Comincerò presto le indagini".
Il procuratore facente funzione era all'epoca Nunzio Fragliasso, al quale è poi subentrato l'attuale procuratore capo, Giovanni Melillo.
In questi due anni e mezzo non si è avuta alcuna notizia sul giallo Pantani. Sono state fatte indagini oppure no? Che esito hanno mai avuto?
All'avvocato De Renzis è subentrato, a novembre 2017, un legale del foro di Catanzaro, Sabrina Rondinelli, che subito interpellata della Voce non ha mai voluto parlare del caso.
Due giorni fa, il 12 febbraio, colpo di scena. Rondinelli vola via, sparita nel nulla senza lasciar traccia. Solo un laconico messaggio via internet in cui dice: "mi devo assentare nei prossimi mesi e non posso più seguire il caso come merita. Invito la famiglia a continuare con la convinzione che Marco è stato ucciso". Un giorno dopo il servizio delle Iene.
Cosa ha fatto l'avvocato calabrese in questo anno e mezzo? In cosa è consistita la sua attività? Ha cercato di capire cosa succedeva alla procura di Napoli?
Ai microfoni delle Iene, per illustrare la situazione e ricostruire le cento anomalie, ci ha pensato Antonio De Renzis.

Fonte: www.lavocedellevoci.it

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28 febbraio 2019

Vaccini: arriva l’Azione Civile Nazionale – Luca Scantamburlo


Sarego, il Comune contro l'obbligo vaccinale

C'è un piccolo comune che si affaccia sull'Agno e sul Brendola, Sarego, in provincia di Vicenza, che ha approvato una delibera per dire "No a misure coercitive per imporre le vaccinazioni sui minori". Con 7 voti favorevoli, un astenuto e 5 consiglieri usciti dall'aula, questo piccolo avamposto di esseri umani pensanti ha sfidato l'incantesimo lanciato sugli italiani dalla propaganda mediatica orchestrata dalla politica e dalle lobby farmaceutiche, che attraverso l'invenzione a tavolino di epidemie che non esistono ha creato i presupposti per convincere i tele-addormentati che tra tutti i problemi sanitari, che fanno vittime a decine di migliaia tutti gli anni, il morbillo fosse il più temibile. Sulla base di fake news colossali, credute solo perché a diramarle sono televisioni e giornali, è stata varata una legge contraria alla Costituzione italiana (la Costituzione ammette la coercizione sanitaria solo in caso di gravi epidemie) che he messo le famiglie le une contro le altre e ha diviso i bambini in soggetti conformi (da includere) e non conformi (da allontanare).
Se fosse un film di fantascienza sarebbe considerato distopico e nutrirebbe la penna di schiere di critici letterari. Siccome invece è la realtà, tutti si guardano bene dal manifestare il più piccolo disappunto, minacciati anche loro di esclusione, come i moltissimi medici che hanno dovuto subire un processo medioevale di radiazione solo perché – in ossequio alla metodologia scientifica – hanno osato esprimere critiche e perplessità in ordine alla misura abnorme emanata dal Governo Pd di Beatrice Lorenzin. Curiosamente, chiunque si esprima nel merito, se non è un Premio Nobel della medicina viene lapidato, mentre a un ex Ministro che non è neppure laureato è stato concesso non solo di girare tutti gli studi televisivi a spergiurare su un argomento che evidentemente non aveva le competenze per affrontare, ma addirittura di scrivere una legge coercitiva le cui ricadute si applicano a 60 milioni di persone. E soprattutto ai loro bambini.
In questo contesto, il consigliere Mauro Roviaro ha presentato una mozione in cui chiedeva al sindaco, Roberto Castiglion, "fatto salvo accertate emergenze epidemiche" (condizione che se applicata al DDL Lorenzin avrebbe tagliato la testa al toro), di far esprimere i consiglieri sul "consenso alla libertà di scelta terapeutica in tema di vaccinazioni ai minori". E i consiglieri hanno scelto. La mozione, inoltre, è stata inviata anche al Ministro della Salute, carica oggi ricoperta da quella Giulia Grillo che in precedenza si era espressa fermamente contro l'obbligo vaccinale e che ha spesse volte dichiarato pubblicamente di voler superare il DDL Lorenzin con un'altra legge ispirata a un "obbligo flessibile", al Ministro della Pubblica Istruzione, all'Assessore alla Sanità della Regione Veneto, alla Provincia di Vicenza e tutti i comuni di sua appartenenza. Si attende di sapere se l'Ordine dei Medici abbia intenzione di radiare anche le istituzioni comunali di Sarego.

Vaccini: Arriva l'Azione Civile Nazionale

Nel frattempo, un gruppo di cittadini, guidati da Luca Scantamburlo, saggista e soprattuto genitore, ha avviato un'azione civile nazionale chiamata "Istanza ai Ministri", ovvero la richiesta al Governo di una deliberazione, in seno al Consiglio dei Ministri, con il parere del Consiglio di Stato, del Consiglio Superiore della Sanità e del Ministero della Salute, per portare all'attenzione del Presidente della Repubblica la richiesta di emanare un decreto: un regolamento analogo a quello già firmato dal suo predecessore Oscar Luigi Scalfaro, che nel 1999 emanò il DPR 355, che consentiva anche ai bambini non in regola con il certificato vaccinale di frequentare la scuola dell'obbligo e accedere alla sessione d'esame.
La legittimità di questa istanza ai ministri si basa sul principio di sussidiarietà, disposto dall'ultimo comma dell'articolo 118, titolo V, della Costituzione italiana, riguardante la collaborazione tra enti locali e Stato, con la cosiddetta decentralizzazione. La sussidiarietà si può intendere anche in senso orizzontale: i cittadini privati, in forma singola o associata, possono operare con l'amministrazione dello Stato, dei Comuni o della Città Metropolitana, diventando possibili fonti di diritto.
Si potrebbe ritenere che il Consiglio Superiore della Sanità possa esprimere un parere non favorevole, ma questa azione civile nazionale porta sul tavolo del decisore politico e anche dell'esecutivo di carriera (i dirigenti dei ministeri) la cosiddetta "notizia di reato". In questo caso, consiste nell'imposizione alla popolazione infantile e adolescenziale di una serie di farmaci mentre la magistratura inquirente sta raccogliendo informazioni per possibili illeciti penali colposi e per valutare la possibilità che questi stessi farmaci possano essere guasti o imperfetti.
Per chi volesse partecipare a questa azione civile nazionale, qui il link con le istruzioni e per scaricare i documenti da inviare: http://bit.ly/Istanzavaccini.