Visualizzazione post con etichetta Nuovo Ordine Mondiale. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Nuovo Ordine Mondiale. Mostra tutti i post

17 maggio 2019

Magaldi oscurato su Facebook: “Spieghino, o li denuncio”



Gioele Magaldi oscurato da Facebook: «Da qualche giorno non posso più accedere alla mia pagina, da cui peraltro sono spariti tutti i contenuti. Nel caso ci fosse del dolo, a Facebook farò una causa coi fiocchi», avverte il presidente del Movimento Roosevelt, in web-streaming su YouTube il 13 maggio con Fabio Frabetti di "Border Nigths". E aggiunge: «Mi auguro che sia solo un problema tecnico momentaneo, perché i miei contenuti (politico-culturali) non sono certo considerabili "inappropriati", da Facebook». Magaldi è un personaggio pubblico piuttosto noto. «Anche nel caso si trattasse solo di un inconveniente – dice – resta comunque il danno: lo conferma una sentenza del tribunale di Pordenone, che – come ricorda l'Associazione Forense Emilio Conte – il 10 dicembre 2018 ha condannato Facebook a ripristinare il profilo di un utente arbitrariamente chiuso, infliggendo anche il pagamento di una penalità per ogni giorno di ritardo». Magaldi è perfettamente consapevole dell'occhiuta "sorveglianza" di Facebook alla vigilia delle elezioni europee: il social network ha appena chiuso 23 pagine italiane, con 2,4 milioni di follower, accusate di diffondere "fake news".
«Ricordo a Facebook che, in base alla legge italiana, non può fare tutto quello che vuole», sostiene Magaldi. «Tre giorni fa ho inviato loro una mia foto, peraltro pubblica, richiestami per verificare la mia identità, teoricamente a tutela della mia sicurezza, per Gioele Magaldievitare che altri potessero inserirsi abusivamente nella mia pagina. Ma sono ancora in attesa di risposta. E intanto il tempo passa, aggravando il danno morale e materiale che sto subendo». Massone progressista, filosofo e politologo, animatore di svariate iniziative culturali italiane, Magaldi è certamente "attenzionato" da più parti: il suo bestseller "Massoni", pubblicato nel 2014 da Chiarelettere, mette alla berlina il profilo occulto del potere "supermassonico" italiano, strettamente collegato a quello sovranazionale attraverso la rete invisibile delle Ur-Lodges, le superlogge che sorvintendono alle decisioni delle istituzioni, a cominciare dagli stessi governi. Come presidente del Movimento Roosevelt, Magaldi è attivo nel panorama politico nazionale: nel 2018 ha chiesto le dimissioni del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dopo l'esclusione di Paolo Savona dal ministero dell'economia. Poco dopo, ha accusato un commissario europeo, il tedesco Günther Oettinger (definito «massone neoaristocratico»), di essere il vero ispiratore della controversa legge-bavaglio imposta al web con il pretesto della tutela del copyright.
«Se Facebook rimedia subito al disguido, la cosa finisce qui. Se invece passerà ancora qualche ora – annuncia Magaldi – i miei avvocati faranno causa a Facebook. Una censura ai miei danni – ancorché subdolamente motivata col pretesto di problemi tecnici – sarebbe uno scandalo, di cui renderei conto in ogni sede». Il suo potrebbe ovviamente non essere un caso isolato: «Di fronte a episodi che venissero valutati scorretti dall'autorità giudiziaria – conclude Magaldi – immagino che Facebook verrebbe inondato di richieste di risarcimento come quella che mi appresto a formulare io, se l'incidente non verrà immediatamente chiarito e risolto». Citando la sentenza emessa dal tribunale di Pordenone lo scorso anno, l'associazione Emilio Conte ricorda che i giudici, in quel caso, hanno ravvisato «la sussistenza di un vero e proprio contratto tra utente e Pino Cabrassocial network», identificando tra le prestazione di Facebook quella dell'offerta «di un preciso servizio telematico basato sul libero accesso ed utilizzo della propria piattaforma web». Fin dal momento dell'attivazione dell'account, infatti – fa notare la magistratura friulana – Facebook si impegna espressamente a garantire all'utente la «possibilità di esprimersi e comunicare in relazione agli argomenti di interesse».
Secondo il giudicante, Facebook, cancellando arbitrariamente un profilo individuale «pur in assenza di una chiara, seria e reiterata violazione dell'utente delle condizioni contrattuali o della normativa», adotterebbe «un rimedio del tutto sproporzionato rispetto agli addebiti mossi», in questo modo calpestando «non solo le regole contrattuali» stabilite dal social network stesso, «ma anche il diritto di libera espressione del pensiero come tutelato dalla Costituzione». Può dare così fastidio, il presidente del Movimento Roosevelt, al punto da spingere qualcuno a forzare le regole e infrangere la legge? Nata nel 2015, l'associazione (meta-partitica) si propone di "risvegliare" la politica italiana, per recuperare la perduta sovranità democratica. A marzo, ha condotto a Londra un importante convegno economico sul New Deal di cui l'Europa avrebbe bisogno, per porre fine all'austerity. Tra i relatori Nino Galloni, Danilo Broggi,Gianroberto Casaleggio Ilaria Bifarini e l'ex manager Bnl Guido Grossi. Coraggiosa, in quella sede, la denuncia del deputato pentastellato Pino Cabras: «Lega e 5 Stelle sono divisi su tutto, ma uniti nella lotta contro il Deep State, lo "Stato profondo" che, a partire dal Quirinale, condiziona il governo in modo spesso determinante».
Dai media mainstream, silenzio di tomba sulla denuncia di Cabras, saggista e storico collaboratore di Giulietto Chiesa. Spesso, Magaldi fa notizia indicando l'appartenenza massonica degli uomini di potere: Monti, Draghi, Napolitano, D'Alema. Recente l'accusa a Luigi Di Maio: «Si è "genuflesso" davanti alla Merkel perché spera di essere accolto, prima o poi, in superlogge come la Goldem Eurasia, in cui milita la Cancelliera: per il vicepremier sarebbe un modo per sopravvivere all'eventuale naufragio dei 5 Stelle». Reiterata, la polemica di Magaldi contro «l'ipocrita massonofobia, solo di facciata», ostentata dai grillini, violando la Costituzione che proibisce la discriminazione dei cittadini in base alla loro appartenenza. «Senza contare che era massone lo stesso Gianroberto Casaleggio». Il figlio, Davide Casaleggio, smentisce: sostiene che il padre fosse estraneo alle logge. La replica di Magaldi, a stretto giro: «Si confronti con me in un pubblico dibattito, e a Davide Casaleggio spiegherò perché suo padre non intendeva ammettere la sua identità massonica». Dopo il recente convegno a Milano sulla crisi della democrazia in Europa, prendendo spunto dal socialismo liberale di Carlo Rosselli e dall'esempio di Olof Palme e Thomas Sankara (tra i relatori, anche Paolo Becchi), Magaldi è ora proiettato verso il 14 luglio, quando – a Roma – sarà varato il "Partito che serve all'Italia", laboratorio politico che intende lanciare una contestazione frontale dell'austerity Ue (Facebook permettendo, naturalmente).

To see the article visit www.libreidee.org

06 maggio 2019

L’arresto di Assange è una messa in guardia della storia


L’immagine di Julian Assange trascinato fuori dall’ambasciata dell’Ecuador a Londra è emblematica della nostra epoca. La forza contro il diritto. La brutalità contro la legge. Sei poliziotti che malmenano un giornalista malato, con gli occhi strizzati contro la prima luce naturale dopo circa sette anni.


Che questo scandalo sia avvenuto nel cuore di Londra, nel paese della Magna Charta, dovrebbe far vergognare e far arrabbiare tutti coloro che tengono alle società “democratiche”. Assange è un rifugiato politico protetto dal diritto internazionale, beneficiario di asilo in virtù di un accordo che la Gran Bretagna ha firmato. L’Organizzazione delle Nazioni Unite l’ha indicato chiaramente nella decisione giuridica presa dal suo Gruppo di lavoro sulle detenzioni arbitrarie.
 Ma al diavolo tutto questo. Lasciate entrare i teppisti. Diretta dai quasi-fascisti dell’amministrazione Trump, con la collaborazione dell’ecuatoriano Lenìn Moreno – un Giuda latinoamericano e un mentitore che cerca di nascondere lo stato moribondo del suo regime – l’élite britannica ha abbandonato il suo ultimo mito imperiale: quello dell’equità e della giustizia.

Immaginate Tony Blair trascinato fuori dalla sua casa georgiana da diversi milioni di sterline a Connaught Square, Londra, ammanettato, per essere poi spedito all’Aja.
Secondo l’esempio di Norimberga, il “crimine supremo” di Blair è la morte di un milione di iracheni.
Il crimine di Assange è il giornalismo: chiedere il conto ai rapaci, denunciare le loro menzogne e fornire alla gente del mondo intero i mezzi per agire con la verità.
Lo scioccante arresto di Assange è un avvertimento per tutti quelli che, come scriveva Oscar Wilde, “seminano i grani del malcontento [senza i quali ] non ci sarebbe progresso verso la civiltà”. L’avvertimento è esplicito ai giornalisti. Quello che è successo al fondatore e redattore capo di WikiLeaks può succedere ad un giornale, o a voi in uno studio televisivo, o a voi in una radio, o a voi che diffondete un podcast.
Il principale carnefice mediatico di Assange, The Guardian, collaboratore dello Stato segreto, ha mostrato il suo nervosismo questa settimana con un editoriale che raggiunge nuove vette di ipocrisia.
The Guardian ha sfruttato il lavoro di Assange e di WikiLeaks in quello che il suo precedente editore chiamava “il più grande scoop degli ultimi 30 anni”. Il giornale si ispira alle rivelazioni di WikiLeaks e attira lodi e fortuna. Senza versare un soldo a Julian Assange o a WikiLeaks, un libro promosso dal Guardian si trasforma in un film hollywwodiano molto lucroso (Il Quinto Potere, n.d.t.) . Gli autori del libro - Luke Harding e David Leigh –si sono rivoltati contro la loro fonte, lo hanno maltrattato e hanno divulgato la password che Assange aveva dato al giornale confidenzialmente, password concepita per proteggere un file digitale contenente dei cablogrammi degli ambasciatori degli Stati Uniti.

Quando Assange era intrappolato nell’ambasciata dell’Ecuador, Harding si è unito alla polizia che era all’esterno e si è rallegrato sul suo blog perché “Scotland Yard avrà l’ultima parola”. The Guardian ha poi pubblicato una serie di menzogne a proposito di Assange, in particolare un’affermazione falsa secondo la quale un gruppo di russi e l’uomo di Trump, Paul Manaford, avrebbero fatto visita ad Assange nell’ambasciata. Queste riunioni non hanno mai avuto luogo, era tutto falso.

Ora il tono è cambiato. “L’affaire Assange è una tela moralmente aggrovigliata” afferma il giornale. “Lui (Assange) crede nella pubblicazione di cose che non dovrebbero essere pubblicate … Ma ha sempre fatto luce su cose che non avrebbero mai dovuto essere nascoste”.
Queste “cose” sono la verità sull’aspetto mortifero con cui l’America porta avanti le sue guerre coloniali, le menzogne del Foreign Office britannico nel suo ignorare i diritti delle persone vulnerabili, come gli abitanti delle Isole Chagos, la denuncia di Hillary Clinton quale partigiana e beneficiaria dello yihaidismo in Medio Oriente, la descrizione dettagliata degli ambasciatori americani su come i governi della Siria e del Venezuela potrebbero essere rovesciati, e molto di più. Tutto questo è disponibile sul sito di WikiLeaks. 

The Guardian è nervoso e si capisce. La polizia segreta ha già fatto visita al giornale e ha chiesto e ottenuto la solita distruzione del disco fisso. Su questo il giornale non è alle prime armi. Nel 1983 una funzionaria del Foreign Office – Sarah Tisdall – divulgò dei documenti del governo britannico indicanti quando le armi nucleari da crociera americane sarebbero arrivate in Europa. Il Guardian fu coperto da elogi.

Quando un tribunale chiese di conoscere la fonte, invece di lasciare che il redattore capo finisse in prigione sulla base del fondamentale principio di protezione delle fonti, Tisdall fu tradita, perseguita e condannata a sei mesi di prigione.
Se Assange viene estradato negli Stati Uniti per aver pubblicato quello che The Guardian chiama “cose” veritiere, chi impedirà che la redattrice capo attuale, Katherine Viner, o l’ex redattore capo Alan Rusbridger, o il prolifico propagandista Luke Hardin lo seguano? E che i redattori capi del New York Time e del Washington Post, che hanno pubblicato anch’essi dei pezzi di verità provenienti da WikiLeaks, o il redattore capo di El Pais in Spagna, di Der Spiegel in Germania e del Sydney Morning Herald in Australia facciano la stessa fine? La lista è lunga.

David McCrow, primo avvocato del New York Times, ha scritto: “Penso che l’incriminazione di Assange costituirebbe un cattivo, cattivo, precedente per gli editori … per quello che ne so egli si trova in qualche modo nel ruolo classico di un editore e la legge farebbe molto male a distinguere il New York Times da WikiLeaks”.
Anche se i giornalisti che hanno pubblicato le rivelazioni di WikiLeaks non sono stati convocati davanti ad un Gran Jury americano, l’intimidazione di Julian Assange e di Chelsea Manning basterà. Il vero giornalismo è criminalizzato da dei teppisti, visti e conosciuti da tutti. La dissidenza è diventata un’indulgenza.
In Australia l’attuale governo filo-americano perseguisce due persone che hanno rivelato che gli spioni di Canberra avevano messo sotto sorveglianza le riunioni del gabinetto del nuovo governo di Timor Est, per privare questo piccolo paese della sua parte di risorse naturali in petrolio e gas del mare di Timor. Il loro processo si svolgerà in segreto. Il Primo Ministro australiano, Scott Morrison, è tristemente celebre per il suo ruolo nella costruzione di campi di concentramento per i rifugiati sulle isole di Nauru e Manus, nel Pacifico, dove i ragazzi si auto-mutilano e si suicidano. Nel 2014 Morrison ha proposto campi di detenzione di massa per 30.000 persone.
Il vero giornalismo è nemico di questi scandali. Dieci anni fa il ministero della Difesa di Londra ha pubblicato un documento segreto che descriveva le “principali minacce” all’ordine pubblico: i terroristi, le spie russe e i giornalisti d’inchiesta. Questi ultimi sono stati definiti la minaccia principale.

Il documento è arrivato a WikiLeaks, che naturalmente l’ha pubblicato. “Non avevamo scelta – mi ha detto Assange – “E’ molto semplice. Le persone hanno il diritto di sapere e il diritto di rimettere in discussione e di contestare il potere. Questa è la vera democrazia”.
E se Assange e Manning e gli altri nella loro scia – se ce ne sono altri – fossero ridotti al silenzio e “il diritto di sapere, di mettere in discussione e di contestare” sparisse?

Negli anni ’70 incontrai Leni Riefenstahl, amica di Hitler, i cui film contribuirono a gettare l’incantesimo nazista sulla Germania.

Lei mi disse che il messaggio dei suoi film, la propaganda, non dipendeva “da ordini venuti dall’alto”, ma da quello che lei definiva il “vuoto apatico” del pubblico. “Questo vuoto apatico si estendeva alla borghesia liberale e colta?” le chiesi. “Naturalmente – mi rispose – soprattutto l’intelligencia… Quando le persone non fanno più domande serie, diventano sottomesse e malleabili. Tutto può succedere”.
Ed ecco, è successo.
Il resto, avrebbe potuto aggiungere, è storia. 

John Pilger 


Fonte: http://johnpilger.com/articles/the-assange-arrest-is-a-warning-from-history
Data dell'articolo originale: 13/04/2019
URL dell'articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=25867 


29 aprile 2019

Assange e i suoi "fratelli": chi sono i cypherpunk

Julian Assange in una delle sue dichiarazioni rilasciate dal balcone dell'ambasciata
Julian Assange in una delle sue dichiarazioni rilasciate dal balcone dell'ambasciata

L'arresto del fondatore di WikiLeaks ha riacceso i riflettori sul leaking ma anche sulla realtà delle cyberwar. In Terris ne ha parlato con il generale Umberto Rapetto
U
na figura ambigua quella di Julian Assange, fondatore di WikiLeaks e volto del fenomeno del leaking a livello mondiale. Il suo arresto a Londra chiude un capitolo avviato nel 2012, quando si rifugiò nell'ambasciata dell'Ecuador chiedendo asilo a seguito di un mandato di cattura spiccato contro di lui. In mezzo, sette anni di voci, inchieste, sospetti, opinione pubblica divisa tra sostenitori e oppositori. Dietro la figura di Assange, però, si cela un mondo informatico che, in qualche modo, va oltre il fenomeno del leaking,inserendosi nel più ampio contesto dei sistemi di software che, sempre di più, avvicinano l'utente medio ai lati più rischiosi della rete. Un universo virtuale fatto di dati, informazioni, anche personali, esposte alle leggi del web. Per questo, al di là dell'attività di WikiLeaks, si parla di cyberwar: una delicata sfida giocata su un filo sottile in cui, in un modo o nell'altro, entriamo tutti con i nostri dispositivi. In Terris ne ha parlato con il generale Umberto Rapetto, che ha servito lo Stato nella Guardia di Finanza ed esperto di sistemi informatici.

Dottor Rapetto, l'arresto a Londra di Julian Assange ha destato un rinnovato interesse per questa figura che, dal 2012, era rimasta in penombra. A distanza di diversi anni dall'esplosione dei casi che coinvolsero WikiLeaks, quanto peso ha ancora la sua figura e le questioni alle quali era connessa?
"La storia comincia a essere più o meno consolidata, al punto che, a dispetto di quello che si dice abitualmente, a WikiLeaks si sono affiancate altre organizzazioni come OpenLeaks e altre ancora. Il fenomeno del leaking, il fatto di far filtrare determinate informazioni, equivale letteralmente a fare un buco all'interno di una tubatura per far fuoriuscire l'acqua. WikiLeaks di fatto non esiste, è un'aggregazione spontanea di cui Julian Assange è solo il portavoce, l'unica faccia 'pubblica' di un movimento che è figlio dei cosiddetti cypherpunk, i quali sono stati governati da un vecchio architetto ora ultraottantenne, tale John Young, massimo esperto di Freedom of informaction act (Foia) e considerato il 'padre spirituale' di Julian Assange. La filosofia dei cypherpunk ritiene che il cittadino non sia un dipendente del Paese in cui vive ma un azionista e, come tale, non può essere controllato dalla struttura ma è lui che partecipa al controllo".

Quale fu l'ascendente di Young su Assange?
"Per John Young, la filosofia era di rendere pubblici documenti che altrimenti non erano accessibili. Non appena venivano desecretati, sul suo sito venivano pubblicati. Questo dal 1996, con pubblicazione di documenti anche scomodi, estratti secondo la legge od ottenuti in maniere meno chiare. Nel momento in cui si è accorto che si poteva dare voce a soggetti che non l'avevano, ha contribuito alla creazione di questo movimento fatto inizialmente di poca gente che aveva rapporti interlocutori ma che, poco alla volta, ha calamitato materialmente l'attenzione di tutti coloro che erano in possesso di qualche informazione. Il cardine era il totale anonimato delle fonti e la verifica della loro attendibilità, dopodiché la loro pubblicazione secondo criteri che venivano decisi di volta in volta. Questo network ha superato ormai le migliaia di aderenti e vi sono confluiti documenti che sono di carattere governativo o vengono dall'intelligence, dal mondo militare piuttosto che industriale, da tutta quella che può essere l'attività amministrativa o informativa. Di lì la connotazione internazionale: non ci sono ripartizioni di carattere geografico. Molte volte andiamo a lambire l'illegalità della documentazione che viene acquisita ma è chiaro che quello che viene raccolto ha un peso equivalente alla deflagrazione di un ordigno atomico, perché le fonti sono incastonate all'interno delle organizzazioni".

In Italia abbiamo avuto casi simili?
"Nel tempo hanno iniziato ad arrivare informazioni di ogni genere. Per quanto riguarda l'Italia, dobbiamo ad esempio a WikiLeaks la scoperta dell'attività posta in essere da Hacking Team, la società produttrice di un software utilizzato dalle procure, dietro il quale c'era il cosiddetto Rcs (Remote control system). E il tutto era stato scoperto da WikiLeaks perché qualcuno aveva girato la copia di tutto l'archivio di posta elettronica di Hacking Team, consentendo di scoprire come avesse venduto software di controllo da remoto indirizzato a colpire pc, telefonini e tablet, e comprato dai governi nordafricani che dovevano contrastare la primavera araba e trovare dissidenti o giornalisti che facevano inchieste che potevano risultare scomode".

Negli ultimi giorni il caso è riesploso: cosa è accaduto?
"Ieri WikiLeaks ha rilasciato una serie di documenti che dimostravano come il governo ecuadoregno, presso la cui ambasciata si era rifugiato Assange, era protagonista di un'attività di spionaggio globale particolarmente significativa. In meno di 24 ore, ad Assange è revocato lo status di rifugiato politico ma la cosa era già nell'aria. Nel mese di marzo si era già arrivati al blocco di internet e di altre tecnologie e, al tempo stesso, al veto a incontrare persone liberamente. Già nel 2012 c'era stato un mandato di cattura firmato dalla magistratura di Westminster. L'intelligence e le forze di Polizia britanniche avevano blindato tutta la zona, sorvegliando anche le cavità sottorranee rispetto alla sede dell'ambasciata dell'Ecuador. Lui ha avuto modo di dire la sua in pubblico dai balconi, poi gli è stato vietato".

Di cosa è accusato?
"Lui sarebbe stato privato dello status concesso perché avrebbe contravvenuto ripetutamente, secondo il presidente ecuadoregno, a quelle che erano le regole di convivenza all'interno della sede diplomatica. Su Assange pende poi una sorta di catalogo di reati commessi secondo gli americani, i quali dimostrerebbero come sia reo di cospirazione e di 'attentato' alla sicurezza nazionale. Ha pendente un procedimento per violenza sessuale, sul quale non c'è nessuna prova certa ma che sarebbe stato il grimaldello con cui la Svezia voleva aggiudicarsi, materialmente, quella che era ormai diventata una sorta di preda ambita che poteva garantire la posizione di potere contrattuale nei confronti degli americani".

C'è una sorta di ambivalenza attorno alla figura di Assange, chiavi di lettura diverse e connotazioni che gli vengono attribuite a seconda dei punti di vista, tra chi lo considera un importante rivelatore di informazioni e chi un uomo ambiguo...
"Assange per alcuni incarna il 'Robin Hood' del Terzo millennio, colui che ruba ai cattivi. Ma comunque ruba e questo è un elemento determinante, che presta il fianco a tutte le critiche che sono tanto legittime come più che degne di rispetto sono le manifestazioni di plauso di chi dice che, se non fosse stato per lui, determinate cose non sarebbero venute alla luce. Per qualcuno è una sorta di vendicatore nero. In molti casi, c'era il rischio che i documenti pubblicati non fossero così autentici da spostare gli equilibri. Sia lui che, forse in maggior modo, John Young, hanno dato una spallata a quella che era la granitica condinzione per la quale chi ha potere ne può disporre a piene mani. E' una rivoluzione quasi copernicana, un ribaltamento del tavolo per cui a comandare è chi ha le informazioni. Si tratta di una supremazia in termini quantitativi, qualitativi e temporali. Quello che è stato raccolto da WikiLeaks, al netto delle modalità più o meno condivisibili, ha segnato un passo nella storia fondamentale".

Il possibile utilizzo dell'elettronica come strumento di controllo ha generato tanta letteratura e cinematografia. L'impressione, però, è che non sia del tutto fantascienza. Esiste davvero la possibilità che attraverso tali mezzi possa essere esercitata una sorta di "vigilanza"?
"Riguarda la globalità del command and control, la filosofia che può aver appassionato il 1984 di Orwell. L'elettronica ha consentito di cancellare gli spazi, di aumentare le velocità, stoccare un maggior volume d'informazione. Questo, come strumento di successo, lo conosceva già Gengis Khan con i suoi cavalieri freccia. Prima però erano i governi o le corporation ad avere il controllo di questo settore, mentre adesso possono esserci altri attori che possono comportarsi come le grandi realtà. Abbiamo quindi una sorta di proletarizzazione del controllo delle informazioni. C'è chi lo fa con un animo orientato ai diritti civili e chi ne fa una manovra speculativa per motivi politici, di controllo. Abbiamo constatato che la democrazia digitale non esiste perché c'è sempre qualcuno più bravo e si avvantaggia dal gap che normalmente separa chi è davvero in condizione tecniche, culturali di andare avanti e chi purtroppo non lo è".

Forse il termine "attacchi" o cyberattacchi è poco calzante in casi come quello di WikiLeaks. Questo è un deterrente rispetto a un programma di prevenzione?
"Il problema, in realtà, è proprio che non si tratta di attacchi. Si parla di informazioni venute da dentro un certo ente, non carpite da fuori. Se fossero state rubate con un data breach, ovvero bucando il perimetro di sicurezza di queste realtà, si sarebbe potuto parlare di attacco informatico. Qui il discorso è diverso, si tratta di materiali ottenuti per via interna e recapitati a chi è in grado di memorizzarli, classificarli o anche pubblicarli".

Il nome di WikiLeaks emerse anche durante la recente inchiesta sulle presidenziali americane del 2016, nell'ambito del mailgate che coinvolse i due candidati. Oggi si torna a parlare di una possibile estradizione negli Usa di Assange: potrebbe esistere una connessione?
"Gli intrecci sono talmente viscerali che diventa difficile escludere qualcuno da qualunque circostanze. Se andiamo a tracciare linee di demarcazione tra i momenti in cui, sette anni fa, lui è stato 'costretto' a questa fuga statica, è ovvio che dal 2012 le sue responsabilità dirette sono di meno ma lui fa parte di un organismo vivente, dalla capacità multiforme, dalle potenzialità di riconfigurarsi".

Negli ultimi giorni è salito alla ribalta il caso italiano del software-spyware Exodus. Si tratta di questioni diverse?
"Ci sono delle differenze sostanziali. La dinamica di azione ha come target, per WikiLeaks, le grandi realtà e il committente è un 'privato'. Il software Exodus e il Remote control system sono qualcosa che mira a soggetti singoli e che nasce con una committenza perlopiù governativa, poiché si tratta di software pensati per il contrasto al terrorismo o altre questioni simili, quindi con Intelligence e magistratura che ne hanno alimentato la creazione. C'erano però da considerare le controindicazioni: mentre le dilatazioni del leaking di Assange o di altri hanno una riverberazione sociale in cui 'ci si impegna poco', è molto più preoccupante sapere che, su input di carattere governativo, altre realtà abbiano creato strumenti che possono entrare nella vita personale di ciascuno e coinvolgere anche soggetti estranei. Il sistema di eSurv, ad esempio, prevedeva che i soggetti destinati a finire nel mirino delle indagini ricevessero un messaggio da un numero che poteva risultare all'interno del proprio telefonino apparentemente proveniente da un conoscente, nel quale era proposto un link che rimandava a uno store o un'app per scaricarla. Dietro c'era però lo spyware e, se questo era inserito all'interno del sistema del meteo o della guida di un ristorante, molta gente non inserita nelle indagini è arrivata a scaricarlo. Questa è stata una controindicazione che, però, nessuno ha valutato".

www.interris.it

23 aprile 2019

GLIFOSATI / SONO CANCEROGENI, LO DENUNCIA UNA SENTENZA A SAN FRANCISCO


E’ stato il matrimonio del secolo, quello tra il pezzo da novanta di Big Pharma, la tedesca Bayer, e il colosso degli Ogm, la statunitense Monsanto. E ora si sta trasformando in un incubo.
Una fresca sentenza appena pronunciata dal tribunale di San Francisco, infatti, ha stabilito una volta per tutte che il diserbante Roundup – la specialità di casa Monsanto – è cancerogeno, così come la sostanza su cui si basa, il glifosato.
Pesante la condanna da 80 milioni di dollari, che ora mamma Bayer dovrà rimborsare ad un coltivatore californiano, Andrew Hardemann, che si è ammalato di tumore alla pelle.
Nella sua arringa finale, la legale di Hardemann, Jennifer Moore, ha sostenuto che “un’azienda responsabile avrebbe testato il suo prodotto”, e “avrebbe detto ai consumatori che poteva provocare un cancro”. Ma “Monsanto non ha fatto nessuna di queste due cose”. Per questo motivo Moore ha chiesto al tribunale di San Francisco di metter fine alle “menzogne di un gruppo interessato solo a fare soldi”.
Nella prima fase del processo, in particolare, l’attenzione è stata rivolta alle prove scientifiche per determinare, appunto, se potesse esistere un legame tra il Roundup e il linfoma non-Hodgkincontratto da Hardemann. Nella seconda fase, invece, i sei membri della giuria del tribunale di San Francisco hanno focalizzato la loro attenzione sulle specifiche responsabilità del colosso Monsanto.
La sentenza è “storica”, perché dimostra quel basilare nesso causale e quindi apre la strada ad un fiume in piena, ovvero alle centinaia e centinaia di cause intentate da agricoltori, coltivatori, chiunque a qualsiasi titolo lavori nei campi e abbia avuto a che fare con i glifosati.
Il prossimo processo negli Usa, per fare il primo esempio, sta per aprirsi ad Oakland: una coppia di settantenni, Alva Alberta Pilloid, hanno utilizzato per anni il Roundup e sono stati entrambi colpiti dal linfoma non-Hodgkin. A seguire un’altra mezza dozzina di processi e, quindi, con ogni probabilità di sentenze arcimilionarie, visto che la strada è stata aperta dal provvedimento del tribunale di San Francisco.
Venendo a casa nostra ricordiamo un fatto estremamente inquietante e fino ad oggi non ancora chiarito. Alcuni mesi fa l’Ordine Nazionale dei Biologi ha cofinanziato una ricerca sui vaccini promossa dal Corvelva, l’associazione veneta costituita oltre vent’anni fa allo scopo di sensibilizzare i genitori per un uso consapevole dei vaccini.
Ebbene, quella ricerca ha avuto un esito dirompente: in due lotti di vaccini presi in esame, infatti, è stato trovato di tutto e di più, meno quello che ci si aspetta in un vaccino. Tra i composti principali i glifosati.
Ai confini della realtà.

16 aprile 2019

Così l’Unione Europea ha soffocato la libertà di Internet

Julia RedaAddio link facili, fine della libertà di circolazione dei contenuti sul web. Il Parlamento Ue ha infatti approvato la direttiva europea sul copyright. Con 348 voti a favore e 274 contrari, gli articoli 11 e 13 sono diventati realtà. «Non vi è stata nemmeno la possibilità di votare per gli emendamenti che avrebbero proposto la rimozione dei singoli articoli – possibilità persa per soli 5 voti contrari», scrive Riccardo Coluccini su "Motherboad". Gli sforzi dei cittadini, degli attivisti e degli esperti di Internet – culminati con la pubblicazione di una lettera contraria agli articoli 11 e 13, firmata dagli accademici di tutta Europa che si occupano di diritto informatico e proprietà intellettuale – non sono bastati a convincere la maggioranza degli europarlamentari a votare contro una direttiva «che introduce una macchina della censura preventiva, che dovrà filtrare ogni contenuto caricato online». Alcuni politici, aggiunge Coluccini, hanno intenzionalmente avvitato la discussione sulla direttiva copyright intorno alle sole posizioni delle grandi piattaforme e dei detentori dei diritti d'autore, «che non sempre combaciano con gli autori e i creatori dell'opera». Ignorate «le richieste dei cittadini, degli artisti e dei creatori di contenuti». Per "Motherboard", «i colpi bassi in questi mesi hanno ricordato più una stagione di Game of Thrones che un processo democratico».

Come sottolineato dalla parlamentare tedesca Julia Reda, del Partito dei Pirati, abbiamo assistito probabilmente a una delle più grandi mobilitazioni cittadine degli ultimi anni su un tema digitale. «Dall'altra parte, però – scrive Coluccini – alcuni europarlamentari si sono ostinati a svilire ogni critica liquidandola come "fake news", bollando i cittadini come "bot", o persino alludendo alla possibilità che i critici fossero stati assoldati dai colossi digitali». Tutto questo, «tacendo completamente, però, le pressioni portate avanti dalle lobby editoriali e del mondo della musica». Alla vigilia del voto, quasi 200.000 persone hanno manifestato in diverse città europee. «La petizione online che chiedeva la rimozione dei due articoli ha raggiunto il record di oltre 5 milioni di firme», aggiunge Coluccini. «Migliaia di cittadini hanno contattato telefonicamente i propri rappresentanti per chiedere di opporsi agli articoli 11 e 13». Inoltre, il 21 marzo Wikipedia ha oscurato completamente il proprio sito web in Estonia, Danimarca, Germania, e Slovacchia. Wikipedia in italiano si è unita al blackout il 25 marzo.

Di cos'è fatto, il dispositivo ammazza-web? L'articolo 13 prevede che tutti i siti e le app che permettono l'accesso o la condivisione di materiali protetti dal diritto d'autore – e ne traggono una qualche forma di profitto economico – siano considerati responsabili per eventuali violazioni. Ogni piattaforma, spiega sempre "Motherboard", sarà quindi obbligata a stringere accordi con tutti i detentori dei diritti. E dovrà garantire che queste licenze siano rispettate, prevedendo quindi sistemi e meccanismi per evitare che vengano caricati nuovamente contenuti vietati. Secondo molti esperti, tale richiesta può essere soddisfatta solo introducendo dei filtri per gli upload, già ampiamente criticati. David Kaye, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla promozione e la tutela del diritto alla libertà di opinione e di espressione, sottolinea come «una fiducia mal riposta nelle tecnologie di filtraggio aumenterebbe il rischio di errore e censura». Purtroppo i parlamentari europei hanno Axel Vossdeciso di far finta di nulla. «L'articolo 13 – riassume Coluccini – esclude solamente una piccola categoria di aziende: quelle che hanno meno di tre anni di attività in Europa, un fatturato minore di 10 milioni di euro e meno di 5 milioni di visitatori unici al mese».

L'articolo 11, invece, prevede il diritto per gli editori di obbligare tutte le aziende che operano su Internet a stringere accordi per pubblicare brevi estratti degli articoli e notizie – i cosiddetti snippet, che sono oramai diventati onnipresenti nella nostra navigazione quotidiana. Sono esclusi unicamente "l'utilizzo di singole parole e brevi estratti" (definizione alquanto vaga). «Così com'è, la nuova legge sul copyright minaccia la libertà di Internet per come la conosciamo: gli algoritmi non sono in grado di distinguere tra effettive violazioni del copyright e riusi perfettamente legali come nel caso delle parodie», commenta Julia Reda: «Obbligare le piattaforme a usare i filtri di caricamento implicherà un maggior numero di blocchi di contenuti legali e renderà più difficile la vita delle piattaforme più piccole che non possono concedersi costosi software per filtrare». Aggiunge la parlamentare tedesca: «Il relatore dell'Unione Cristiano-Democratica di Germania (Cdu) Axel Voss e la maggioranza dei parlamentari europei hanno perso l'opportunità di garantire all'Unione Europea una legge sul copyright moderna che protegge sia gli artisti che gli utenti». Oggi è davvero un giorno buio per la libertà di Internet, scrive la stessa Reda su Twitter. E avverte: «Continueremo la battaglia, contro i filtri di caricamento e contro questa nuova legge europea».

To see the article visit www.libreidee.org

11 aprile 2019

Canapa: quel materiale scomodo per le lobby che in Puglia sta rinascendo “volevano farla sparire”


“Bene i controlli che stanno interessando il settore della canapa che in Puglia negli ultimi anni ha avuto uno sviluppo importante che va salvaguardato da frodi e speculazioni. Sono numerose le imprese agricole che stanno segnalando e denunciando dal 2017 fenomeni distorsivi e speculativi. La Legge italiana c’è, va rispettata e fatta rispettata, magari completandola, in modo da renderla ancora più efficace e rispondente alle esigenze produttive e di mercato reali degli imprenditori agricoli”, è il commento del Presidente di Coldiretti Puglia, Savino Muraglia, a quanto disposto dalla Procura di Taranto.
Il boom della canapa in Puglia è stato registrato anche grazie alla legge regionale entrata in vigore il 14 gennaio 2017 che ha favorito – dice Coldiretti Puglia – il moltiplicarsi di terreni e produzione, oltre ad idee innovative nella trasformazione della ‘pianta’ dai mille usi, dalla birra alla ricotta e agli eco-mattoni isolanti, dall’olio antinfiammatorioalle bioplastiche, fino a semi, fiori per tisane, pasta, taralli, biscotti e cosmetici e ancora vernici, saponi, cere, detersivi, carta o imballaggi, oltre al pellet di canapa per il riscaldamento che assicura una combustione pulita.
“La nuova frontiera è la cannabis light con la coltivazione e la vendita di piante, fiori e semi a basso contenuto di principio psicotropo (Thc) – aggiunge il Direttore di Coldiretti Puglia, Angelo Corsetti– attività regolamentate dalla legge numero 242 del 2 dicembre 2016 recante “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa” che ha disciplinato il settore. Con la nuova norma non è più necessaria, infatti, alcuna autorizzazione per la semina di varietà di canapa certificate con contenuto di Thc al massimo dello 0,2%, fatto salvo l’obbligo di conservare per almeno dodici mesi i cartellini delle sementi utilizzate. Resta il divieto  di utilizzo di foglie e fiori di canapa per scopo alimentare”.
La percentuale di Thc nelle piante analizzate potrà inoltre oscillare dallo 0,2% allo 0,6% senza comportare alcun problema per l’agricoltore. Al momento risulta consentita – precisa ColdirettiPuglia – solo la coltivazione delle varietà ammesse, l’uso industriale della biomassa, nonché la produzione per scopo ornamentale, mentre per la destinazione alimentare possono essere commercializzati esclusivamente i semi in quanto privi del principio psicotropo (Thc).

“L’affermarsi di stili di vita più ecologici ha favorito – precisa Claudio Natile, referente del comparto della canapa di Coldiretti Giovani Impresa Puglia  – la diffusione della canapa che è particolarmente versatile negli impieghi, ma anche in grado dal punto di vista colturale a basso impatto ambientale di ridurre il  consumo del suolo, la percentuale di desertificazione e la perdita di biodiversità. Considerata l’importanza economica del settore, occorre formare le aziende agricole per favorire la qualità della produzione nazionale e supportarle nella trasformazione del prodotto, scongiurando l’alterazione della legge italiana di riferimento anche attraverso un sistema di controllo nei confronti degli operatori delle filiere per favorire la legalità e prevenire truffe e comportamenti illeciti. Valorizzare la canapa italiana, di nostra tradizione, considerato che negli anni Quaranta eravamo il secondo Paese mondiale a produrla, dopo la Russia e promuoverla all’estero per sostenere le aziende italiane anche nelle esportazioni”.
Si tratta in realtà – rileva Coldiretti Puglia – del ritorno ad una coltivazione che fino agli anni ‘40 era più che familiare in Italia, tanto che il Belpaese con quasi 100mila ettari era il secondo maggior produttore di canapa al mondo (dietro soltanto all’Unione Sovietica). Il declino è arrivato per la progressiva industrializzazione e l’avvento del “boom economico” che ha imposto sul mercato le fibre sintetiche, ma anche dalla campagna internazionale contro gli stupefacenti che ha gettato un ombra su questa pianta.
ll Governo italiano nel 1961sottoscriveva una convenzione internazionale chiamata “Convenzione Unica sulle Sostanze Stupefacenti” (seguita da quelle del 1971 e del 1988), in cui la canapa sarebbe dovuta sparire dal mondo entro 25 anni dalla sua entrata in vigore mentre nel 1975 esce la “legge Cossiga” contro gli stupefacenti, e negli anni successivi gli ultimi ettari coltivati a canapa scompaiono. Il boom della coltivazione della canapa è un’ottima dimostrazione – conclude Coldiretti Puglia – della capacità delle imprese agricole di scoprire e sperimentare nuove frontiere e soddisfare i crescenti bisogni dei nuovi consumatori che proprio da queste esperienze di green economy si aprono opportunità di lavoro nelle campagne che possono contribuire alla crescita sostenibile e alla ripresa economica ed occupazionale del Paese. M5S a parte, ve lo ricordate lo spettacolo di Grillo “rivelatorio” del 1997? Guardate qua:

10 aprile 2019

L’antisionismo non è antisemitismo


I vecchi tabù di carattere sessuale e morale, nelle società occidentali, sono caduti e ne sono sorti di nuovi, il più inviolabile dei quali riguarda la questione israelo-palestinese. Il solo chiedere di parlarne, viene visto dai grandi media come una provocazione e quelli che conducono programmi di informazione politica, alla proposta di affrontarlo, reagiscono con un misto di timore e di costernazione di fronte a una richiesta tanto osé, similmente a come avrebbero reagito, al tempo della televisione di Bernabei, all’idea di un programma sui piaceri della pornografia.
LA PAROLA D’ORDINE è “evitate l’argomento”. Non si tratta di censura, piuttosto di elusione. Quando poi in rarissime occasioni, per distrazione, se ne parla, si evita accuratamente di far sentire le opinioni e le argomentazioni di coloro che criticano aspramente la politica del governo israeliano e la definiscono colonialismo, oppressione di un intero popolo, segregazionismo e razzismo. Gli oppositori di tale politica, se si esprimono con schiettezza, vengono immediatamente apostrofati e classificati con l’insultante epiteto di antisemita (!), I sedicenti amici di Israele hanno accolto l’equazione “critico del governo di Israele uguale antisionista, uguale antisemita”. Altrettali sono definiti quelli che chiedono piena dignità e diritti per il popolo palestinese. I meno accaniti di questa eletta schiera di sostenitori del sionismo e amici di Israele accusano i sostenitori delle legittime rivendicazioni palestinesi di diffondere l’antisemitismo perché le critiche allo Stato ebraico portano la pandemia antisemita. Falso! Il climax del veleno antisemita si manifestò » quando Israele non esisteva e gli ebrei vivevano in diaspora. In Israele peraltro, alcuni giornalisti coraggiosi e di altissimo profilo si esprimono senza alcun timore apertis verbis et ore rotundo. Gideon Levy su Haaretz (quotidiano israeliano pubblicato in Israele, da un editore israeliano, letto da lettori israeliani) in un suo articolo dal titolo palmare, In U.S. Media, Israelis Untouchable, scrive: “You can attack the Palestinians in America uninterrupted, call to expel them and deny their existence. Just don’t dare say a bad word about Israel, the holy of holies”. E a proposito della proliferazione dei sentimenti antisemiti nota: “Jews are not as hated as Israel would like: only 10 percent said they had any negative feelings about them”.
LA MIA OPINIONE, come quella di autorevoli esponenti della società israeliana, è che le classi dirigenti e il governo Netanyahu utilizzino strumentalmente l’accusa di antisemitismo al solo scopo di ricattare i paesi dell’Occidente per legittimare l’occupazione e la colonizzazione delle terre palestinesi e per annettere terre che la legalità internazionale assegna al popolo palestinese. Così, a proposito dell’equiparazione di antisionismo e antisemitismo, scrive lo storico israeliano Shlomo Sand: “Il tentativo del presidente francese Emmanuel Macron e del suo partito di criminalizzare oggi l’antisionismo come una forma di antisemitismo mostra di essere una manovra cinica e manipolatoria. Se l’antisionismo diventa un crimine, mi sento di raccomandare a Macron di far condannare con effetto retroattivo, il bundista Marek Edelman, che fu uno dei leader del ghetto di Varsavia e totalmente antisionista. Si potrebbe anche inviare a processo i comunisti antisionisti che, piuttosto che emigrare in Palestina, scelsero di combattere, armi in pugno, contro il nazismo. Se intende essere coerente nella condanna retroattiva di tutti i critici del sionismo, Macron dovrà aggiungere la mia insegnante Madeleine Rebérioux, che ha presieduto la Lega dei diritti umani, l’altro mio insegnante e amico Pierre Vidal-Naquet e, naturalmente, anche Eric Hobsbawm, Edward Said e molte altre eminenti figure, ora scomparse, ma i cui scritti sono ancora autorevoli. Se Macron desidera attenersi a una legge che reprime gli antisionisti ancora viventi, la cosiddetta futura legge dovrà applicarsi anche agli ebrei ortodossi di Parigi e New York che rifiutano il sionismo, a Naomi Klein, Judith Butler, Noam Chomsky e molti altri umanisti universalisti, in Francia e in Europa, che si autoidentificano come ebrei pur dichiarandosi antisionisti. Si troveranno, naturalmente, molti idioti antisionisti e giudeofobi, come non mancano pro-sionisti imbecilli, pure giudeofobi, ad augurare che gli ebrei lascino la Francia ed emigrino in Israele. Li includerà in questa grande impennata giudiziaria? Stia attento, signor Presidente, a non lasciarsi trascinare in questo ciclo infernale, proprio quando la popolarità è in declino!”. Personalmente ritengo che debbano cessare retoriche, propagande, calunnie insensate e strumentalizzazioni, che non sia più tollerabile tacere sulla crudele oppressione del popolo palestinese. E ora che i Paesi occidentali affrontino la questione con coraggio e onestà intellettuale.
Moni Ovadia
Fonte:
comedonchisciotte.org
www.ilfattoquotidiano.it

02 aprile 2019

Glaxo: orfani, neonati e bambini usati come cavie da laboratorio


Secondo un’indagine di ‘The Observer’, bambini orfani e neonati fino a tre mesi sono stati utilizzati come cavie in esperimenti medici potenzialmente pericolosi sponsorizzati da aziende farmaceutiche, tra le quali la Glaxo. Ad affermarlo è il famoso quotidiano inglese “The Guardian“.


Il gigante britannico Glaxo Smith Kline e’ coinvolto nello scandalo. L’azienda ha sponsorizzato esperimenti su bambini presso l’Incarnation Children’s Centre, una casa di cura di New York specializzata nel trattamento dei malati di HIV e gestita da un ente di carita’ che si spaccia per cattolico.
I bambini venivano infettati da HIV o nati da madre con HIV positivo. I loro genitori erano morti, non trattati o ritenuti indatti  a prendersi cura di loro.

Secondo i documenti ottenuti da ‘The Observer’, Glaxo ha sponsorizzato almeno 4 studi medici usando bambini ispanici e neri all’Incarnation Children’s Center.
Gli esperimenti
I documenti forniscono dati di tutti gli studi clinici negli Stati Uniti e rivelano che gli esperimenti sponsorizzati da Glaxo sono stati progettati per testare la ‘sicurezza e la tolleranza’ dei farmaci AIDS alcuni dei quali presentano effetti collaterali potenzialmente pericolosi. Glaxo produce una serie di farmaci destinati a trattare l’HIV tra cui l’AZT.
Normalmente i test sui bambini richiedono il consenso dei genitori, ma, poiche’ i neonati sono in cura, sono le autorita’ di New York a decidere.
Piu’ di 100 bambini sono stati utilizzati in 36 esperimenti-almeno quattro cosponsorizzati da Glaxo.
Alcuni di questi studi sono stati progettati per testare la tossicita’ di farmaco AIDS.
Uno ha esaminato la reazione nei bambini di sei mesi ad una doppia dose di vaccino contro il morbillo. Un altro riguarda il dosaggio di cocktail di sette farmaci contemporaneamente.
Nel 1997 un esperimento co-sponsorizzato da Glaxo ha usato i bambini per ottenere dati di tolleranza, sicurezza e farmacocinetica per i farmaci Herpes.
In un esperimento piu’ recente i bambini sono stati utilizzati per testare l’AZT.
Un terzo esperimento sponsorizzato da Glaxo e dall’impresa farmaceutica statunitense Pfizer ha esaminato la sicurezza a lungo termine di farmaci antibatterici nei bambini di 3 mesi.
Vera Sharov, Presidente dell’Alleanza per la Protezione della Ricerca Umana ha dichiarato che i bambini sono stati trattati come ‘animali da laboratorio’.
Visto su: www.jedanews.it
Traduzione e sintesi a cura di: nomassoneriamacerata.blogspot.it

26 marzo 2019

Non c’è ricerca della Verità senza analisi dei documenti originali - INTERVISTA A THIERRY MEYSSAN 3/3

Mentre i giornalisti tendono a interpretare gli avvenimenti internazionali in funzione dei rispettivi governi, Thierry Meyssan si sforza di anticipare i fatti per permettere agli Stati presi di mira di proteggere il più efficacemente possibile le popolazioni. L’interpretazione di Meyssan degli ultimi 18 anni non è affatto “complottista”, come i suoi avversari vorrebbero far credere; si fonda invece sui documenti di lavoro dei Paesi occidentali, alcuni dei quali liberamente consultabili, benché ignorati dai media. Una ricerca sistematica delle fonti e la loro integrazione nel ragionamento è la metodologia che Meyssan applica anche quando riesce a procurarsi i documenti dopo anni dalla loro stesura.
Domanda/Edizioni Demi-LunePassiamo ora a Sotto i nostri occhi, un libro fuori dal comune… È scritto molto bene, breve e di facile comprensione; lei possiede un vero talento per spiegare in modo semplice problematiche complesse. L’unico appunto che si potrebbe fare è che il libro è davvero molto denso! Quasi ogni pagina contiene una rivelazione; la maggior parte dei politologi avrebbe certamente diluito queste informazioni in più opere. Si tratta in realtà del lavoro che lei ha svolto nei dieci anni trascorsi dalla pubblicazione dell’Effroyable Imposture 2.
Thierry Meyssan: Quando nel 2002 ho scritto L’incredibile menzogna, è stato in reazione a una contraddizione evidente tra narrazione dominante e quanto chiunque poteva constatare: l’amministrazione Bush mentiva. Le mie argomentazioni erano semplici, comprensibili e facilmente verificabili. Era un libro scritto da un giornalista. Nel 2006 ho scritto l’Effroyable Imposture 2 come si trattasse di una tesi di dottorato, con centinaia di riferimenti bibliografici: un lavoro di ricerca redatto per il grande pubblico. Questo terzo volume, Sotto i nostri occhi, pubblicato nel 2017, è una sintesi destinata a chi deve prendere decisioni, presentata sotto forma di un viaggio personale. È un libro scritto da un analista governativo.
È vero, ci sono davvero troppe informazioni, ma tutte utili. Non volevo presentare in dettaglio un avvenimento o un altro, bensì descrivere il panorama generale dei rapporti di forza mondiali dopo l’11 Settembre ed esporre la mia interpretazione. Nessuno finora ha fatto questo tipo di lavoro ma sicuramente molti lo imiteranno. Sono stati pubblicati innumerevoli libri che s’ispiravano alle mie precedenti opere, accadrà anche con questa.
DomandaCome il libro precedente, Sotto i nostri occhi, è probabilmente in anticipo di dieci anni rispetto al proprio tempo… Potrebbe essere uscito troppo presto e quindi essere comprensibile (ossia accettabile) non prima di un decennio?

La rivolta scoppiata in Francia sta per propagarsi all’intero Occidente

Thierry Meyssan: Ho riletto L’effroyable imposture 2, sulla guerra israeliano-libanese del 2006, quando è stato rieditato da Demi-Lune. Sono rimasto meravigliato della sua attualità, nonostante siano passati 12 anni. Questo significa che i problemi d’Israele e Libano sono tuttora irrisolti.
Sotto i nostri occhi diventerà un classico quando lo scontro che descrivo sarà risolto. Ebbene, la globalizzazione finanziaria sta per finire. La rivolta scoppiata in Francia si propagherà all’intero Occidente. Le persone patiscono senza capire il perché del loro impoverirsi. La rivolta potrebbe accelerare.
DomandaAnche la struttura della sua ultima opera è originale: lei decifra le “Primavere arabe” in tre sezioni, in ciascuna delle quali lei si pone nella prospettiva di un diverso protagonista: la Francia, i Fratelli Mussulmani e l’asse Washington-Londra.
Thierry Meyssan: Per questa ragione parlavo di “viaggio personale”.
Inizialmente ho interpretato gli avvenimenti basandomi sulle informazioni disponibili al grande pubblico, quelle dei media. Sfortunatamente la stessa modalità è stata usata dal governo francese per reagire. A questo stadio ho commesso molti errori, per esempio prendere per buono quel che si raccontava su Muammar Gheddafi.
Poi ho iniziato a esplorare la nebulosa jihadista. Mi sono reso conto che, nonostante le apparenze, era molto strutturata, che tutti i suoi capi (di Al Qaeda, di Daesh ecc.) provenivano dalla stessa organizzazione, la Confraternita dei Fratelli Mussulmani. Sono stato massone per molti anni, ho perciò subito capito come funzionava la Confraternita, i cui riferimenti arrivano direttamente dalla massoneria. Inoltre mio nonno, ufficiale dell’Intelligence, mi ha insegnato la vocazione dell’MI6 per le società segrete. Ho perciò riletto la storia dei Fratelli Mussulmani su scala regionale. Questo ha ribaltato quel che pensavo di aver capito.
Ho in seguito lavorato sui concetti strategici e l’organizzazione amministrativa di Stati Uniti e Regno Unito. Conoscevo alcune grandi linee degli avvenimenti, ho però cercato gli elementi sommersi che consentivano di collegarli tra loro. Ho trovato, per esempio, le mail del Foreign Office, rivelate nel 2004 da Derek Pasquill, un lanceur d’alerte [lett. lanciatore di allerta, ndt] britannico. Esse dimostrano che il Regno Unito ha preparato e organizzato le Primavere Arabe. Ho interpellato diversi protagonisti, per esempio il presidente libanese Emile Lahoud sul ruolo della Lega Araba. Ho analizzato volontariamente per conto della Repubblica Araba Siriana il piano delle Nazioni Unite contro la Siria. In poche parole, ho pazientemente e minuziosamente ricostruito la storia completa degli avvenimenti, il che ha di nuovo sconvolto quanto avevo capito in precedenza.
DomandaPer quanto incredibile possa sembrare, la sua analisi è sfortunatamente l’unica che nella sua globalità abbia senso; essa polverizza letteralmente la narrazione comunemente accettata dall’establishment politico-mediatico (la Responsabilità di proteggere, la Difesa dei Diritti Umani, la Difesa della Democrazia…), che si rivela essere una frode di massa.

Nelle scienze politiche, come in ogni altra scienza, le ipotesi devono essere messe a confronto con nuovi elementi ed essere rettificate

Thierry Meyssan: Io tratto le scienze politiche come vere e proprie scienze. Le ipotesi devono essere costantemente messe a confronto con nuovi elementi ed essere rettificate. Perciò bisogna cercare e trovare elementi che contraddicano quel che si ritiene acquisito.
Il modo attuale d’interpretare i crimini dei governi in rapporto ai grandi ideali è stupido. Per esempio, nessuno può credere che si porti la democrazia in un Paese bombardandolo. La democrazia è il potere del Popolo e non può in alcun caso essere imposto da uno Stato straniero.
Diversamente da quanto si pensa comunemente, i neoconservatori provengono da un partito trotskista che, in Francia, partecipava al congresso di un altro partito trotskista. Benché si siano aggregati all’amministrazione Reagan e abbiano più volte cambiato partito politico, sono tuttora trotskisti; oggi però pensano di poter fare la «rivoluzione mondiale» con le forze armate USA. Sono gli stessi individui che hanno fornito una copertura di sinistra alle primavere arabe, esibendo sulle televisioni occidentali i loro omologhi trotzkisti arabi.
Stanno per tornare in grande stile in Venezuela.
DomandaCome hanno potuto, persone intelligenti che si ritengono l’élite intellettuale, aderire a simili fesserie? Come possono continuare a farlo? Gheddafi e Bashar al-Assad massacrano e torturano i rispettivi popoli, guerre “civili” fatte da stranieri che si riversano in Siria a decine di migliaia, la scelta tra la peste dello Stato Islamico e il colera Assad, la favola dei “ribelli islamici moderati”, lo Stato Islamico “venuto dal nulla” oppure “creato di sana pianta da Assad per seminare il caos”, l’uso di armi chimiche da parte del “regime di Assad” che sta per vincere la guerra, il Rapporto Caesar, e via elencando?
Thierry Meyssan: Innanzitutto, Gheddafi e Assad hanno sempre protetto i propri concittadini. Altrettanto ha fatto Saddam Hussein, sebbene fosse un despota orientale che non esitava a far assassinare i membri del partito che gli facevano ombra. Non è possibile che un capo di Stato, pur essendo il torturatore odiato dal popolo, rimanga al potere. L’immagine che ci hanno venduto di questi personaggi proviene dall’immaginario hollywoodiano.
Lei ha certamente ragione, è una propaganda incoerente. Incrocia elementi di epoche diverse. Per esempio, all’inizio ci hanno presentato le “Primavere Arabe” come rivoluzioni spontanee. Poi ci hanno detto che in Siria le cose erano degenerale ed era nata una guerra civile. Ma, come ha rilevato lei, sul posto c’erano già decine di migliaia di combattenti stranieri: certo non poteva trattarsi di una guerra civile.
Del resto, è stato usato lo stesso trucco in Afghanistan, Iraq, Libia e Yemen: una vera epidemia di guerre civili nel Medio Oriente Allargato. Ebbene, si tratta di Paesi molto diversi, di società che non hanno molti rapporti fra loro.
DomandaStavo pensando innanzitutto agli intellettuali di sinistra, non tanto agli opinionisti… Dimostrano così spesso una sconfinata ingenuità da far nascere sospetti!
Thierry Meyssan: I concetti “destra” e “sinistra” rinviano alla guerra fredda, finita ormai da un quarto di secolo. Oggi non ci sono intellettuali di sinistra o di destra, non c’è nemmeno il popolo di sinistra o di destra.
Quel che possiamo constatare è una solidarietà di classe tra gli intellettuali che hanno l’approvazione dei media: non cercano più di capire il mondo, ma pensano solo a difendere gli interessi che hanno in comune con chi gli passa lo stipendio.
DomandaOgni volta che sente o legge termini come «regime siriano» «esercito di Bashar», «uomo forte di Damasco» (o di Bagdad, o di Tripoli, o del Cremlino), invece di «governo siriano», «esercito nazionale siriano» e «presidente siriano», l’ascoltatore o il lettore dovrebbe aggrottare la fronte e rendersi immediatamente conto che si trova di fronte non a un’informazione obiettiva, bensì a un discorso propagandistico! Ma come fanno le redazioni a giustificare un simile linguaggio propagandistico?
Thierry Meyssan: Infatti, cosa penseremmo se sentissimo parlare di “esercito di Emmanuel” al posto di forze armate francesi? Chi parla così non si fa onore.
DomandaOgni volta gli stessi trucchi della propaganda, le stesse médias-mensonges (bugie mediatiche), come le ha chiamate Michel Collon… e funziona sempre! È forse perché queste notizie di false atrocità (neonati tolti dall’incubatrice, bambini torturati, ragazzine cui vengono strappate le unghie laccate, viagra distribuito ai soldati per violenze di massa, ecc.) ci rivoltano a tal punto da obnubilare la nostra capacità di riflessione?
Thierry Meyssan: No, ci piace sentirle. Siamo come bambini che ascolano per l’ennesima volta la storia della strega cattiva. Sappiamo che è falsa e crudele, ma non ne abbiamo mai abbastanza. Sfortunatamente, siamo meno intelligenti dei bambini: ogni volta ci comportiamo come se la favola fosse realtà.
DomandaNaturalmente qui e là emergono frammenti importanti di verità. Per esempio, in occasione della prima accusa di uso di armi chimiche in Siria, sulla Rete sono apparsi articoli che ricordavano un fatto storico caduto nell’oblio: gli inglesi utilizzarono queste armi nella regione per domare la popolazione indigena!
Thierry Meyssan: Da quando la chimica nel XX secolo ha iniziato a progredire, gli occidentali hanno spesso fatto largo uso di gas contro le popolazioni civili: non solo gli inglesi, che furono i primi in Africa australe, ma anche gli italiani in Etiopia, gli Stati Uniti ad Haiti ecc. Gli occidentali hanno deciso di rinunciarvi non per nobiltà d’animo, ma perché sono armi che è difficile usare su larga scala senza pagarne le conseguenze.
Le armi chimiche sono state introdotte in Siria dall’Esercito Siriano Libero, un’organizzazione jihadista, all’epoca sponsorizzata dalla Francia. Era formata soprattutto da elementi di Al Qaeda che avevano combattuto in Libia. Quest’organizzazione ha annunciato in un video che avrebbe usato gas sarin contro gli alauiti. L’ha fatto più volte perché, secondo loro, gli alauiti non sono dei mussulmani.
L’Esercito Arabo Siriano, quello regolare, possedeva scorte di armi chimiche che risalivano agli anni Sessanta. Non le ha mai utilizzate e sono state distrutte con la supervisione di Stati Uniti e Russia. Quel che è strano è che nessuno sembra sapere che Israele non ha firmato la Convenzione Internazionale che ne vieta l’uso. Lo Stato ebraico ha portato avanti fino agli anni Ottanta un programma di ricerca degno dei nazisti, che mirava a intossicare gli esseri umani selezionandoli per razza.
DomandaDopo le gigantesche manifestazioni contro la guerra che ci sono state ovunque nel mondo alla vigilia dell’invasione dell’Iraq, è lecito chiedersi dove sia finito questo grande movimento contro la guerra. Sembra essersi letteralmente dissolto, evaporato. Ma non credo che le persone si lascino prendere in giro a tal punto. Il movimento dei Gilet Gialli per esempio è iniziato per la goccia della fiscalità chiamata “verde”, che ha fatto traboccare il vaso; ma quando si ascoltano i manifestanti ci si rende conto che è piuttosto l’intero sistema della mondializzazione e della finanziarizzazione dell’economia che li disgusta e che respingono in blocco…

Le “primavere arabe” e le “rivoluzioni colorate” sono messinscene

Thierry Meyssan: Il movimento di protesta contro l’attacco all’Iraq ha dato origine alle più grandi manifestazioni a livello mondiale, fuorché in Francia, dato che il presidente Chirac era il leader di questo movimento popolare internazionale. Il movimento non è riuscito a impedire il massacro e il presidente Chirac ha dovuto chinare il capo. Quel che è seguito è stato presentato come un’epidemia di guerre civili su cui le persone non hanno potuto prendere posizione.
La protesta dei Gilet Gialli è solo agli inizi. Il primo mese si è trattato di una reazione epidermica a una fiscalità eccessiva, che lei ha definito fiscalità “verde”. A questo proposito è bene ricordare che il presidente Macron aveva annunciato il progetto di “rendere più verde” la finanza: è solo fumo negli occhi. È trascorso un quarto di secolo da quando abbiamo creduto di poter raggiungere la prosperità grazie alla dissoluzione dell’URSS e al libero corso lasciato al capitalismo. I dirigenti internazionali e nazionali che si sono avvicendati hanno tutti accettato questa scelta, di cui soltanto oggi scopriamo il prezzo: solo in Occidente sono sparite decine di milioni di persone che appartenevano alla classe media.
Per questo il movimento dei Gilet Gialli durerà finché non si porrà rimedio agli errori commessi dopo la distruzione dell’Unione Sovietica. Stiamo per entrare in un periodo rivoluzionario che durerà almeno un decennio.
Alcune persone si chiedono se questa ribellione sia paragonabile a quella delle primavere arabe. Certamente no. Le primavere arabe e le rivoluzioni colorate sono state messinscene di una contestazione fasulla. Non si fa la rivoluzione per installare la «democrazia del mercato», secondo l’espressione USA, ma perché non si hanno più i mezzi per vivere. Le rivoluzioni colorate durano pochi giorni o poche settimane e permettono la sostituzione dei governi senza cambiare la società. Le rivoluzioni autentiche durano anni e non hanno bisogno di cambiare i governanti, benché accada nella maggior parte dei casi: cambiano l’organizzazione della società.
Oggi si fa distinzione tra Gilet Gialli e teppisti. Questo distinguo non ha fondamento nella realtà. Dal momento che la classe dirigente rifiuta di cambiare il modello di società, essa costringe alla violenza. Quel che abbiamo visto sinora è ancora poco: vandalismo, saccheggi, morti involontarie. La classe dirigente nel suo complesso rifiuta di affrontare la questione della globalizzazione finanziaria. Così facendo spinge la società verso una violenza su larghissima scala. Perché ciò che accade all’estero non potrebbe avvenire anche in Francia?
DomandaDall’arrivo di Donald Trump sulla scena politica statunitense, poi dalla sua elezione a presidente, nei suoi articoli lei si sforza di spiegare chi è questo personaggio, qual è la sua politica e il senso di questa, nonostante quel che pensano tutti i media. È coraggioso da parte sua, considerato quanto Trump è odiato e schernito, presentato come il peggior presidente della storia degli Stati Uniti (sembrerebbe che le élite mediatiche non si ricordino né di George Bush figlio né di Reagan, per citare solo due esempi recenti). Tuttavia Trump sembra frustrato e si colloca all’opposto delle sue convinzioni politiche: lei è consapevole che in un mondo binario come il nostro “non essere contro” significa “essere a favore”?
Thierry Meyssan: Trump è il presidente degli Stati Uniti. È consono ai bisogni e alla cultura degli statunitensi. In Europa, di cui non condivide la storia, sarebbe un presidente abominevole; negli Stati Uniti è invece quanto di meglio sia accaduto nell’ultimo secolo!
Trump non vuole redistribuire le ricchezze, ma rilanciare il “sogno americano”, ossia offrire a tutti la possibilità di uscire dalla miseria attraverso il proprio lavoro. Sul piano interno Trump rimette in discussione tutti gli accordi commerciali internazionali e tenta di stabilire regole commerciali più giuste per i propri concittadini. Contemporaneamente cerca di rovesciare il politicamente corretto, la morale religiosa che i puritani hanno imposto all’intera società. Infine, sul piano internazionale, vuole abbandonare l’imperialismo e tornare all’egemonia.
Ho l’impressione di essere pressoché l’unico autore non-statunitense che da tre anni osserva il programma di Trump. Tutti lo giudicano riferendosi ai criteri dei suoi avversari e ne traggono la conclusione trattarsi di un pericoloso imbecille; ma se si usano i suoi stessi criteri, è un uomo brillante.
Adesso, vista la mancanza di sostegno della classe politica, Trump ha poche possibilità di farcela, soprattutto da quando ha perso la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti. Tuttavia è già riuscito a migliorare l’economia del Paese, dove ormai il mercato del lavoro è in penuria di manodopera.
DomandaSi ha l’impressione di vivere in un mondo dove realtà e valori vengono completamente rovesciati: Obama disprezzato per non aver aggredito militarmente la Siria, Trump unanimemente osannato per aver lanciato qualche missile su una base militare siriana, ma schernito per aver riannodato il dialogo diplomatico tra le due Coree!
Thierry Meyssan: Adesso la realtà non sono più gli atti, sono le immagini celebrate dai media. Obama ha fatto male a non scontrarsi con la Russia in Siria, Trump invece ha fatto bene a bombardare con tantissimi Tomahawks una base siriana. Sembra che nessuno abbia rilevato che Trump ha lasciato il tempo all’esercito siriano di evacuare la base, dove alla fine sono state distrutte soltanto vecchie carlinghe di aereo da eliminare. In realtà, sia Obama sia Trump sanno quali guerre non possono fare.
DomandaMi dichiaro colpevole agli occhi dei lettori di Sotto i nostri occhi avevamo deciso, di comune accordo, di occultare nella versione cartacea e digitale del libro alcuni nomi (una ventina al più); l’abbiamo fatto senza precisarne la ragione, talmente ci sembrava palese. Evidentemente è stato un errore perché alcuni lettori hanno pensato che l’opera fosse stata censurata dall’editore, o dallo stampatore o da qualche misteriosa autorità. Di fatto, volevamo soprattutto evitare l’eventualità di uno o più processi.
Thierry Meyssan: Sì, sul sito ho pubblicato i passaggi autocensurati, che sono disponibili anche nelle edizioni straniere.
Faccio notare che ci eravamo sbagliati: nessuna delle persone citate ha espresso la benché minima protesta a Réseau Voltaire.
DomandaAbbiamo deciso di comune accordo che nelle prossime settimane lei metterà on-line il testo integrale di Sotto i nostri occhi, per far sì che questo importante libro sia largamente accessibile. Ogni capitolo sarà arricchito di documenti (illustrazioni, foto, mappe, video, ecc.) che nell’edizione originale non ci sono. È un’iniziativa che le fa onore e cui bisogna dare il benvenuto… ma, in quanto editore, devo sottolineare che l’acquisto di uno dei suoi libri contribuisce alla continuazione del suo lavoro, e anche della piccola impresa editoriale di cui sono responsabile! È fondamentale dirlo: svolgiamo un compito di resistenti, con mezzi finanziari limitati.
Thierry Meyssan: Dal 1992 lottiamo contro le cortine fumogene nella vita politica con mezzi che non si possono commisurare con quelli dei nostri avversari. È evidente che abbiamo fatto dei progressi dalla guerra del Kosovo e dall’11 Settembre.
DomandaDel resto, per quanto riguarda il “nerbo della guerra” [riferimento a un proverbio francese che recita: “il denaro è il nerbo vitale della guerra”, ndt], numerosi lettori di Réseau Voltaire si chiedono perché il link «Fate una donazione anonima» non funziona da anni e rinvia a una pagina bianca… Può spiegarne la ragione?
Thierry Meyssan: Sette anni fa il segretariato del Tesoro USA ci ha inserito in una lista nera. Il nostro conto bancario in Francia è stato chiuso e da allora nessuna banca del mondo occidentale è disposta ad aprircene uno. O meglio, in tutti i Paesi dove abbiamo tentato di farlo la banca ci ha detto di sì, poi però è stata richiamata all’ordine dalla Banca Centrale e ha rifiutato. Oggi è impossibile farci avere del denaro.
Siamo andati avanti anche senza il contributo economico dei lettori. Abbiamo anche rifiutato l’aiuto di alcuni Stati perché ci avrebbe condizionato. Viviamo alla bell’e meglio e abbiamo accumulato debiti.
Tuttavia saremo costretti a chiedere aiuto ai lettori per cavarci d’impaccio. Per il momento però dobbiamo mantenere il sito a nostre spese. Dobbiamo tener distinto quel che è a pagamento (gli articoli su giornali, i libri ed eventualmente rapporti privati) da quel che è gratuito, ossia il nostro impegno politico al servizio del bene comune.
DomandaBenché non dubiti che gli internauti rimarranno stupefatti e non potranno impedirsi di leggere per intero gli articoli che saranno pubblicati, potrebbe riassumere in poche parole in cosa il suo libro è rivoluzionario?
Thierry Meyssan: Lei diceva poco fa che i media hanno dileggiato Obama per non aver fatto la guerra alla Russia in Siria, celebrato invece Trump per aver, in apparenza, bombardato la Siria. Non è che un episodio. Oggi le istituzioni che crediamo consacrate alla pace sono proprio quelle che organizzano la guerra.
Faccio l’esempio del piano di resa totale e incondizionata della Siria, redatto dal direttore politico dell’ONU. Questo testo è ancor più duro di quello imposto dagli Alleai ai giapponesi alla fine della seconda guerra mondiale. Quando il direttore politico dell’ONU ha lasciato l’incarico, il ministro degli Esteri russo, Sergueï Lavrov, ha confermato le mie rivelazioni.
Edizioni Demi-LuneGrazie, Meyssan, per la lunga intervista e buona fortuna per il prosieguo delle sue attività.