19 maggio 2018

I segreti di Maurizio Abbatino, il Freddo della banda della Magliana


Raffaella Fanelli

"Non so quante volte ho ucciso. Ma ricordo i nomi di tutte le mie vittime. La cosa strana è che non riesco a contarle". È stata la prima risposta di Maurizio Abbatino, l'ex capo della banda della Magliana, l'uomo che ho rincorso per due anni prima di un incontro.
Se ne stava seduto di fronte a me, al tavolo di un ristorante sul mare, mentre continuavoa ripetermi che avrei dovuto chiedere altro, non il numero dei suoi morti. "Mi pesano sulla coscienza. Anche se appartengono al boss che sono stato. All'altra mia vita".

La svolta interiore: l'uccisione del fratello

1349236Una vita che ho cercato, prima dell'appuntamento, nei verbali dell'inchiesta Operazione Colosseo, nelle centinaia di pagine che raccolgono le spaventose confessioni di un boss sanguinario, di un passato che Abbatino si dice certo di aver pagato davanti agli uomini, con una condanna a 30 anni mai appellata, e davanti a Dio col dolore per aver perso il suo unico fratello. "Ero latitante a Caracas quando Roberto è stato ucciso. I miei amici avrebbero dovuto proteggerlo. Di loro mi fidavo. Avevo protetto le loro famiglie. Era una nostra regola, e io l'avevo rispettata. Quando hanno lasciato uccidere mio fratello è morto anche il boss. Non ho sentito più alcun dovere verso di loro. Nessun obbligo".
Abbatino continua a parlare. Una storia che straborda. Troppi dettagli, troppi fatti da raccontare. Così La verità del Freddo è diventata un libro-intervista con la postfazione di Otello Lupacchini, il magistrato che per primo ascoltò le rivelazioni di Abbatino e firmò i 69 ordini di cattura che decimarono la banda della Magliana e una pletora di personaggi minori legati all'organizzazione.
Era l'alba del 16 aprile 1993 quando scattarono gli arresti dell'Operazione Colosseo. "Chissà perché gli eserciti attaccano sempre all'alba. Forse perché c'è l'effetto sorpresa. Quel giorno furono arrestati tutti i miei ex amici. Si pentirono anche altri affiliati alla banda dopo le mie dichiarazioni. Ci furono condanne pesanti, ergastoli. Roma fu ripulita quasi del tutto. Quasi...".
Segue: I segreti di Maurizio Abbatino, il Freddo della banda della Magliana   Panorama

18 maggio 2018

Le profezie tecnologiche del geniale Nikola Tesla sul futuro dell’umanità

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Smartphone, droni, internet, wi-fi: il geniale Tesla aveva già previsto tutto questo quasi un secolo fa.
Nikola Tesla, oltre ad essere un genio dei suoi tempi, è stato anche un grande visionario. In più di uno scritto ha mostrato di saper vedere oltre la sua epoca e ha previsto per il futuro eventi ed invenzioni che poi realmente hanno avuto riscontri del nostro presente, lasciandoci ancora una volta a bocca aperta.

Tesla aveva previsto lo smartphone

Partiamo con un oggetto che ormai diamo per scontato: lo smartphone. Possiamo asserire che questo tipo di device fa parte ormai della nostra quotidianità. Attraverso gli smartphone si possono controllare altri apparecchi, accedere ad internet, comunicare in tempo reale con altre persone, guardare un film o accedere ad altri servizi. Un secolo fa sarebbe sembrato fantascienza per la maggior parte delle persone ma Tesla, già nel 1926, immaginava un futuro molto simile a oggi. “L’uomo porterà il telefono in tasca, potrà comunicare istantaneamente con gli altri, vedere e sentire le cerimonie delle apertura dei Presidenti guardare le finali di baseball e dal vivo, come se fossero lì”.
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Tesla descrisse, in poche parole, un telefono cellulare capace di mostrare video in diretta streaming. Ai tempi il telefono fisso era già stato inventato da Alexander Bell nel 1876 ed in seguito era sorta la società di telecomunicazioni AT & T, che poi divenne un vero e proprio colosso del settore. Fu invece nel 1973 che venne introdotto il primo telefono cellulare ad opera di Martin Cooper, della Motorola. I primi servizi di telefonia mobile apparirono soltanto nel 1983. Il primo smartphone a tutti gli effetti, IBM Simon, venne rilasciato nel 1994 ma la vera rivoluzione in questo campo avvenne col rilascio di Apple nel 2007.

Internet

Non solo, nel corso di un’intervista rilasciata nel 1926 al reporter statunitense John B. Kennedy del Time, anticipò non soltanto l’avvento degli smartphone ma anche di Internet e delle tecnologie ad esso legate come Skype. “Quando la telefonia senza fili sarà perfettamente applicata, l’intera Terra si trasformerà in un enorme cervello e tutte le cose saranno parte di un intero reale e pulsante. Saremo in grado di comunicare l’uno con l’altro in modo istantaneo, indipendentemente dalla distanza. Attraverso la tele-visione e la tele-fonia riusciremo a vederci e sentirci esattamente come se ci trovassimo faccia a faccia, anche se lontani migliaia di chilometri; e gli strumenti che ci permetteranno di fare ciò saranno incredibilmente semplici, in confronto al telefono che usiamo ora. Un uomo sarà capace di tenerli nel taschino del gilet”.
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Epurazione dell’umanità

In un articolo pubblicato nel 1935 sulla rivista americana Liberty, Tesla avrebbe espresso le sue opinioni riguardo il futuro sino al 2100 e le relative implicazioni nel corso di un’intervista concessa al giornalista George Sylvester Viereck. A detta dello scienziato in futuro la razza umana sarebbe stata “depurata” e che quanti non possedevano un adeguato livello di intelligenza o malviventi come criminali, pedofili, stupratori sarebbero stati eliminati. Questa previsione dovrebbe verificarsi entro il 2100 ed è spesso stata accostata alla filosofia di Adolf Hitler.

Tecnologia Wireless e droni

Riguardo la tecnologia, Tesla si è avvicinato molto alla realtà attuale, spingendosi anche oltre. “Il maggior beneficio deriva dallo sviluppo tecnico che conduce all’armonia e all’unificazione ed in questa linea rientra la trasmissione senza fili (wireless). Un sacco di energia sarà trasmessa senza fili. Tramite questo sistema la voce umana potrà essere riprodotta ovunque e le fabbriche forniranno energia off-shore dalle centrali idroelettriche. I velivoli gireranno intorno alla Terra senza fermarsi e l’energia del Sole sarà controllata per creare laghi e fiumi o grandi deserti”. Tesla aveva anche previsto i droni, dichiarando: “Gli aerei voleranno senza piloti, guidati da terra tramite onde radio”.
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L’estrema lungimiranza dell’inventore serbo croato ci dimostra ancora una volta come il suo spirito visionario abbia potuto ispirare imprenditori moderni come Elon Musk, fondatore dell’omonima casa automobilistica Tesla e Larry Page, cofondatore di Google.
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17 maggio 2018

ALPI, BORSELLINO, PASOLINI, PANTANI, DAVID ROSSI / E’ GIUSTIZIA DESAPARECIDA


Buchi neri. Gialli mai risolti. Storie di omicidi o 'suicidi' che segnano – fino ad oggi – il crac della giustizia di casa nostra. Tempi biblici, indagini flop, archiviazioni ai confini della realtà. E un gigantesco senso di impotenza, trovarsi a combattere contro muri di gomma, cortine di omertà e soprattutto complicità & collusioni da brividi. E anche depistaggi di Stato, come emerge in modo clamoroso, per fare un solo esempio, nel caso di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
E poi l'ultima corsa di Marco Pantani, il tragico volo di David Rossi, le drammatiche sequenze di Pier Paolo Pasolini.
C'è ancora qualche spiraglio per far luce sul nero che appesta e ammorba la scena. Flebili speranze per dar volto ai killer e, soprattutto, ai mandanti. Vediamo, giallo per giallo, cosa sta succedendo.
ALPI – HROVATIN / 8 GIUGNO, LA PAROLA AL GIP
Dopo 24 anni di depistaggi, la parola definitiva ora passa al gip di Roma, Andrea Fanelli, che si dovrà pronunciare sulla richiesta di archiviazione tombale avanzata dal pm Elisabetta Ceniccola e controfirmata dal procuratore capo Giuseppe Pignatone.


Giuseppe Pignatone. Nel montaggio in alto, al centro, Ilaria Alpi. Sullo sfondo Paolo Borsellino, Marco Pantani, David Rossi e Pier Paolo Pasolini

Lo stesso gip dovrà valutare anche gli ultimi elementi emersi: ossia il fascicolo trasmesso dalla procura di Firenze riguardante un'inchiesta su traffici di armi e mezzi militari, comprese alcune intercettazioni risalenti al 2012 tra somali, in cui viene fatto riferimento all'omicidio di Ilaria e Miran.
Il gip, inoltre, dovrà tener presente una gran mole di elementi contenuti in un dossier redatto dai legali della madre di Ilaria, Luciana Riccardi, ossia Antonio D'Amati, Giovanni D'Amati e Carlo Palermo.
Sorge spontanea una domanda da novanta: come mai fino ad oggi la procura di Roma non ha tenuto in alcun conto la sentenza pronunciata dal tribunale di Perugia sulla non colpevolezza di Hashi Omar Hassan, il somalo che ha scontato 16 anni di galera da innocente?
Quella sentenza, emessa un anno fa, parla senza mezzi termini di "depistaggio di Stato", perchè l'unico testimone d'accusa, Gelle, era taroccato, come ha scoperto l'inviata di "Chi l'ha visto" Chiara Cazzaniga e ha certificato – con una pletora di riscontri e ulteriori prove – la clamorosa sentenza di Perugia. Sarebbe bastata quella sentenza, che parla da sola, per far riaprire immediatamente il caso alla procura capitolina, contenendo tra l'altro precisi, nuovi indizi e probanti chiavi di lettura.
E invece? A Roma il silenzio più totale, tanto da far pensare a un impetuoso ritorno di quella "procura delle nebbie" che ha caratterizzato tanti vergognosi anni del passato.


Chiara Cazzaniga

Incredibile ma vero, il copione si ripete in Sicilia, con l'eterno processo Borsellino. Solo un miracolo (le rivelazioni di Gaspare Spatuzza) ha consentito di far luce su un altro clamoroso depistaggio, stavolta il taroccamento a tavolino del super teste dell'accusa, Vincenzo Scarantino, la cui verbalizzazione fasulla ha fatto finire in galera, sempre per 16 anni, 7 innocenti. Come mai nessuno fino ad oggi ha acceso neanche un fiammifero per far luce sul ruolo svolto dai pm, ossia Anna Maria Palma e l'icona antimafia Nino Di Matteo?
Intanto si sta celebrando il Borsellino quater…

MARCO PANTANI / MADONNA FATE LUCE
E ci vorrebbe l'ennesimo miracolo, stavolta degno del miglior San Gennaro, per far luce su un altro giallo da brividi.
Alla procura di Napoli, infatti, si sta svolgendo l'ultimo atto in uno dei due filoni d'inchiesta sul giallo Pantani. Da un anno e mezzo la Direzione distrettuale antimafia – pm Antonella Serio – ha sul tavolo il fascicolo sul Giro d'Italia del 1999 che segnò la fine sportiva del campione di ciclismo Marco Pantani, squalificato per doping. L'esito della corsa venne pesantemente condizionato dalla camorra, che investì miliardi di lire sulla sconfitta del Pirata ("'O pelato non adda arrivà a Milano", come volevano gli uomini dei clan). La procura di Forlì ha a lungo indagato sulla pista, potendo contare su una sfilza di verbalizzazioni di pentiti e collaboratori di giustizia che hanno fornito conferme e dettagli.
Ma niente. Fascicolo archiviato perchè "non c'è la prova di quelle minacce", ossia le intimidazioni che hanno 'convinto' i medici dell'antidoping a taroccare (arieccoci) quelle analisi, che si svolsero a Madonna di Campiglio. Alla procura di Forlì, infatti, non hanno ben chiari i metodi persuasivi della camorra: e forse scambiano ancora pizzi per merletti…


L'avvocato Antonio De Rensis

Resta un'ultima chance: la procura di Napoli, appunto, cui si è rivolto il legale della famiglia Pantani, Antonio De Rensis, perchè fossero riaperte le indagini proprio per far luce sul Giro '99 comprato dai clan. Ma è passato un anno e mezzo: fatte indagini? Effettuati riscontri? Qualche interrogatorio? Fino ad oggi, il silenzio più totale.
Atto secondo. Il processo per la fine di Marco al residence "Le Rose" di Rimini il 14 febbraio 2004. Una scena del 'crimine' che parla da sola, come ha dettagliato in un ponderoso dossier lo stesso De Renzis. Un centinaio di 'anomalie' che documentano come sia impossibile pensare ad un 'suicidio', ma si sia trattato di una vera e propria esecuzione: dalle ferite sul corpo di Marco, ai segni di trascinamento, ai mobili della stanza distrutti, agli evidenti segni di colluttazione.
Ma per i pm tutto ok. Il Pirata, evidentemente, era un masochista di razza e prima di ingerire la coca fatale ha voluto anche sfasciare tutto: e invece le 'palline' di pane e coca gli venne fatte ingurgitare con la forza.
Tutto da archiviare, per la procura di Forlì: un chiaro suicidio. E così anche ha ritenuto la Cassazione, che sulla fine del Pirata ha apposto il suo sigillo il 19 settembre 2016: giorno di San Gennaro.

DAVID ROSSI / QUEL VOLO DA PALAZZO SALIMBENI
Eccoci ad una scena del 'crimine' altrettanto zeppa di anomalie, quella dell'ufficio di David Rossi a palazzo Salimbeni, storica sede del Monte dei Paschi di Siena. Da lì è volato giù a marzo 2013 il responsabile delle relazioni esterne e della comunicazione dell'istituto di credito, all'epoca travolto dal crac. E guarda caso, il giorno seguente David era atteso in procura per verbalizzare proprio sugli affari che coinvolgevano Mps, a partire da quel 'groviglio armonioso' che avvolgeva la banca e tutta la città. Molto meglio che David non parlasse con gli inquirenti…
Altri inquirenti della stessa procura senese, del resto, non hanno avuto una gran voglia di indagare su quel tragico volo, chiedendo dopo un anno esatto l'archiviazione. Nonostante la gran mole di elementi tutti indirizzati a negare la pista del suicidio.


Elio Lannutti

A partire dalle tre perizie. Quella grafologica, infatti, escludeva che David avesse mai potuto scrivere spontaneamente i tre messaggi lasciati alla moglie, invece frutto di evidente coazione. Quella sul corpo, poi, ha documentato svariate ferite, soprattutto ai polsi e sulle braccia, segno di colluttazione e di trascinamento (proprio come nel caso Pantani). Infine, la dinamica della caduta dello stesso corpo fa a pugni con l'ipotesi del suicidio: il volo, invece, risulta frutto di una spintarella.
Senza contare svariati altri elementi: dal filmato e le riprese delle videocamere (tagliate e evidentemente taroccate, altra somiglianza col giallo Pantani), al cellulare, all'orologio caduto 'in ritardo', fino alla presenza di una persona nella stradina adiacente.
Tutto inutile. La procura per ben due volte ha chiesto l'archiviazione. E solo da pochi mesi si è aperto uno spiraglio alla procura di Genova, che finalmente ha inaugurato un fascicolo su errori, orrori & omissioni commessi dalle toghe senesi.
E' uscito pochi mesi fa un libro scritto da Elio Lannutti, lo storico fondatore di Adusbef, l'associazione a tutela dei risparmiatori, e dal giornalista d'inchiesta Franco Fracassi: significativamente titolato "Morte dei Paschi".

PASOLINI / PETROLIO BOLLENTE  

Pier Paolo Pasolini

Anche stavolta, un anno e mezzo fa una scintilla nel buio.
L'avvocato della famiglia Pasolini, Stefano Maccioni, ad ottobre 2016 chiede la riapertura delle indagini sull'omicidio di Pier Paolo. Si basa su un rapporto redatto dalla genetista forense Marina Baldi, attraverso cui sono state scoperte tracce di altri DNA sulla scena del crimine, oltre a quelle ovviamente di Pasolini e di Pino Pelosi. Almeno uno, denominato Ignoto 3, e con ogni probabilità un altro, Ignoto 4.
Il caso viene affidato al pm Francesco Minisci, che già anni prima aveva archiviato una analoga richiesta, anche se ovviamente per diversi motivi.


Francesco Minisci

Maccioni sottolinea il fatto che si tratta di un test ben preciso. E che a questo punto occorre effettuare una serie di indagini per verificare la paternità di quelle tracce di Dna. Caso mai circoscrivendo la ricerca, per non incorrere nell'errore commesso dagli inquirenti nel caso di Yara Gambirasio, con un test a pioggia in Lombardia. Secondo Maccioni l'indagine può essere ristretta agli ex malavitosi di quegli anni, gravitanti nell'orbita della banda della Magliana.
Ma fino ad oggi nessuna notizia. Forse il pm Minisci è troppo preso dai suoi freschi impegni associativi? Mesi fa, infatti, è stato nominato segretario dell'ANM, ossia la potente Associazione Nazionale Magistrati.
Un occhio al caso, comunque, non farebbe male a darlo. Soprattutto perchè lo 'scenario storico' è ormai chiaro. Altro che il solito delitto a sfondo passional-sessuale facile paravento per troppe inchieste! E' palese la matrice politica dell'omicidio: che più di Stato non si può.
E c'è quel Petrolio bollente – l'ultima opera di Pier Paolo – come movente da novanta. Soprattutto il capitolo che manca all'appello delle bozze: le 60 pagine di "Lampi sull'Eni", dedicate al poderoso sistema di potere che all'epoca ruotava intorno alla figura del numero uno della 'Razza Padrona', al secolo Eugenio Cefis.
Da grande regista, poeta e genio a tutto campo (compreso quello pallonaro), Pasolini s'era anche trasformato in giornalista d'inchiesta, e di razza. Aveva scavato e scovato a proposito del delitto di Enrico Mattei (tanto che le bozze di Petrolio erano sulla scrivania del cronista dell'Ora di Palermo Mauro De Mauro, ucciso dalla mafia): e alla fine il suo mitico "Io so, ma non ho le prove", si stava trasformando in "Io so e ho le prove".
Per questo anche Pier Paolo "Doveva Morire".

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8 novembre 2017


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16 maggio 2018

La Russia si oppone a una guerra tra Iran e Israele, di Thierry Meyssan


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                                      I bombardamenti israeliani da dicembre 2017

Nel conflitto Russia-USA la maggior parte degli osservatori si schiera e auspica la vittoria dell'uno o dell'altro campo. Mosca cerca invece di chetare il Medio Oriente e, per questa ragione, ostacola un attacco dell'Iran a Israele, così come nel 2008 si oppose all'operazione israeliana contro l'Iran.

Nella notte tra il 29 e il 30 aprile 2018 Israele ha lanciato nove missili contro due basi militari siriane, causando danni molto gravi.
Stupisce che i radar russi non hanno allertato i siriani, che quindi non hanno potuto intercettare i missili israeliani.
In realtà, l’attacco non voleva colpire obiettivi siriani, bensì bersagli iraniani in basi siriane.
In forza di un trattato anteriore alla guerra, l’Iran è intervenuto in aiuto della Siria sin dall’inizio dell’aggressione straniera, nel 2011. Senza il soccorso iraniano la Siria sarebbe stata sconfitta, la Repubblica sarebbe stata rovesciata e i Fratelli Mussulmani sarebbero al potere. Sennonché, da settembre 2015 la Siria ha l’appoggio anche della Russia, la cui potenza di fuoco è di gran lunga superiore a quella iraniana. È stata l’aviazione militare russa a distruggere con bombe di penetrazione le fortificazioni sotterranee costruite dalla NATO e da Lafarge, permettendo all’esercito arabo siriano di riconquistare il terreno perduto.
Oggi però gli intenti di Iran e Russia divergono.

Il disaccordo Iran-Russia

la Russia vuole sradicare le organizzazioni jihadiste e pacificare l’insieme della regione. Spera inoltre di ripristinare quel legame storico che lega la cultura ortodossa e Damasco, città del cristianesimo delle origini, in conformità alla strategia che Caterina la Grande delineò nel XVIII secolo.
L’Iran è oggi un Paese diviso in tre poteri distinti. Da un lato i Guardiani della Rivoluzione, dall’altro il presidente Rohani, in mezzo la Guida Khamenei a dirimerne i conflitti.
I Guardiani della Rivoluzione sono una formazione d’élite, distinta dall’esercito regolare. Obbediscono alla Guida, laddove l’esercito dipende dal presidente della Repubblica Islamica. Tentano di liberare il Medio Oriente dall’imperialismo anglosassone. Garantiscono la protezione degli sciiti ovunque nel mondo e, in cambio, contano sul loro appoggio per proteggere l’Iran. Sono presenti soprattutto in Yemen, Iraq, Siria e Libano.
Il presidente Hassan Rohani sta cercando di far uscire il Paese dall’isolamento diplomatico, seguito alla Rivoluzione dell’imam Khomeini. Vuole sviluppare il commercio internazionale e ristabilire lo statuto di potenza regionale dominante, riconosciuto al Paese all’epoca dello Scià.
L’ayatollah Ali Khamenei, ideologicamente vicino ai Guardiani della Rivoluzione, cerca di mantenere l’equilibrio tra i due poteri e di preservare l’unità del Paese. È un compito oggi ancora più arduo, in quanto le tensioni tra i due poteri hanno raggiunto l’apice. L’ex presidente, Mahmud Ahmadinejad (uscito dai Guardiani della Rivoluzione), e il suo vicepresidente, Hamid Beghaie, sono stati dichiarati dal Consiglio dei Guardiani della Costituzione «cattivi mussulmani». Ahmadinejad è agli arresti domiciliari, Beghaie è stato condannato, in un processo segreto, a 15 anni di reclusione.
Dopo l’assassinio di Jihad Mughniyah (figlio di Imad Mughniyad, capo militare dello Hezbollah libanese), avvenuto nel gennaio 2015 sulla linea di demarcazione siriano-israeliana del Golan, tutto induce a credere che l’Iran stia cercando d’impiantare basi militari nel sud della Siria, in vista della pianificazione di un attacco a Israele, coordinato da Gaza, Libano e Siria.
È il progetto che Israele cerca di impedire e che la Russia si rifiuta di avallare.

L’evoluzione delle posizioni politiche

Secondo il modo di vedere della Russia, Israele è uno Stato internazionalmente riconosciuto, cui appartengono oltre un milione di cittadini giunti dall’ex Unione Sovietica. Ha diritto a difendersi, indipendentemente dal problema che pongono il furto dei territori palestinesi e l’attuale regime di apartheid.
Al contrario, dal punto di vista iraniano Israele non è uno Stato, bensì un’entità illegittima che occupa la Palestina e ne opprime gli storici abitanti. È quindi legittimo combatterlo. La Repubblica Islamica va oltre l’analisi del suo fondatore. Infatti, per l’imam Khomeini Israele è solo uno strumento nelle mani delle due principali potenze coloniali, gli Stati Uniti (il «Grande Satana») e il Regno Unito. Il discorso iraniano sulla Palestina è diventato negli ultimi anni oltremodo confuso: una mescolanza di argomentazioni politiche e religiose, in cui non si disdegnano nemmeno stereotipi antisemiti.
Da tre anni Israele chiede a gran voce alla Russia di impedire all’Iran d’installare basi militari a distanze inferiori a 50 chilometri dalla linea di demarcazione. All’inizio, la Russia ha sottolineato che l’Iran stava vincendo la guerra in Siria, mentre Israele la stava perdendo. Quindi, Tel Aviv non poteva vantare pretese. Ma ora che si approssima una possibile fine del conflitto, la posizione della Russia è cambiata: è escluso che venga consentito all’Iran di aprire un nuovo conflitto.
È esattamente la stessa posizione che, nel 2008, spinse la Russia a bombardare i due aeroporti presi a nolo in Georgia dallo Tsahal. Lo scopo allora era prevenire un attacco di Tel Aviv a Teheran. Solo che il lasciar-fare di oggi si oppone a un’iniziativa iraniana, non più israeliana.

La posizione siriana

Dal punto di vista siriano, Israele è un nemico che occupa illegalmente il Golan. È un Paese che durante la guerra ha sostenuto gli jihadisti e che ha già bombardato la Siria oltre un centinaio di volte.
Ma non per questo il progetto iraniano è benvenuto. Infatti, come Mosca, Damasco non contesta l’esistenza dello Stato ebraico, bensì unicamente il suo ordinamento politico, da cui i palestinesi sono esclusi. Ma, soprattutto, la Repubblica Araba Siriana non cerca lo scontro con il vicino, bensì la pace. I presidenti Hafez e Bashar al-Assad hanno tentato invano di negoziarla, in particolare con la mediazione del presidente statunitense Bill Clinton.
D’altro canto, tutti sanno che l’esercito israeliano gode dell’appoggio senza riserve degli Stati Uniti e che attaccare Israele equivale ad attaccare Washington. Anche se lo volesse, la Siria, che sta uscendo da sette anni di aggressione straniera ed è in gran parte distrutta, non potrebbe impegnarsi in questa direzione neppure se lo volesse.
Pertanto, Damasco pur avendo consentito all’Iran di istallare basi sul proprio territorio non si spingerà oltre.

Il contesto Iran-Stati Uniti

Così come ha provocato la crisi attuale, l’approssimarsi della fine della guerra pesa anche sul futuro dell’accordo 5 + 1. Probabilmente gli Stati Uniti non continueranno a rendersene garanti.
Quest’accordo multilaterale non è quel che si crede. Il testo firmato il 14 luglio 2015 è esattamente identico a quello negoziato il 4 aprile. Negli ultimi mesi Washington e Teheran hanno patteggiato a quattr’occhi clausole segrete bilaterali, di cui nessuno conosce la portata.
Tuttavia, è evidente che, dalla conclusione di quest’accordo segreto, le truppe di Stati Uniti e Iran, che sono presenti in tutto il Medio Oriente, non si sono mai scontrate direttamente.
La parte pubblica dell’intesa verte sulla sospensione, per almeno un decennio, del programma nucleare iraniano, sulla rimozione delle sanzioni internazionali contro l’Iran e su un rafforzamento dei controlli dell’AIEA [Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, ndt]. Quest’accordo è catastrofico per Teheran che, per esempio, ha dovuto chiudere il settore dell’insegnamento della fisica nucleare. Ciononostante, l’Iran l’ha firmato, confidando nella rimozione delle sanzioni che colpiscono duramente l’economia. Ebbene, non appena tolte, le sanzioni sono state immediatamente ripristinate sotto altro pretesto (il programma missilistico). Nel frattempo, il livello di vita degli iraniani continua ad abbassarsi.
Contrariamente a un pregiudizio diffuso, già nel 1988 la Repubblica Islamica cessò gli sforzi per avere la bomba atomica: l’imam Khomeini aveva convinto gli iraniani che le armi di distruzione di massa sono contrarie all’islam. L’Iran ha continuato la ricerca sul nucleare a uso civile e condotto qualche studio per applicazioni militari tattiche. Oggi, soltanto chi desidera ripercorrere la via dello Scià — ossia il gruppo del presidente Rohani — potrebbe desiderare la ripresa del programma nucleare militare. Ma non accadrà, dati gli eccellenti rapporti con Washington.
A Ginevra è in corso una riunione preparatoria della Conferenza Mondiale di monitoraggio del Trattato di Non Proliferazione Nucleare. Iran e Russia sostengono una mozione per dichiarare il Medio Oriente «zona priva di armi nucleari», mozione contro cui sono schierati Israele, Arabia Saudita e i Paesi occidentali.
La minaccia che Teheran esercita dalla Siria potrebbe essere interpretata come mezzo di pressione per ottenere il rispetto delle clausole segrete parallele all’accordo 5+1.

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14 maggio 2018

Montagna Longa - La strage dimenticata

Intervista di Fabio Belli a Stefania Limiti
E' stato il più grave disastro nella storia dell'aviazione italiana prima che avvenisse la tragedia di Linate nel 2001 (1). Non si tratta della strage di Superga appena commemorata, ne del noto episodio di Ustica, sebbene vi sia in comune il territorio siciliano come luogo della sciagura.
Venerdì 5 maggio 1972 il volo Alitalia AZ112, partito da Roma-Fiumicino con destinazione Palermo-Punta Raisi, si schiantò in fase di atterraggio contro la Montagna Longa nel territorio fra Cinisi e Carini: tutte le 115 persone a bordo (108 passeggeri e 7 membri dell'equipaggio) persero la vita.
Il velivolo DC-8-43, decollato con mezz'ora di ritardo in una notte calda e senza vento, comunicò per l'ultima volta con la torre di controllo tramite il pilota comandante Bartoli che annunciò l'imminente manovra di avvicinamento alla pista 25 dell'aeroporto palermitano; pochi minuti dopo avvenne il fatale impatto (2). Nel luogo del disastro è presente tutt'ora una croce in ricordo delle vittime.
La giornalista e scrittrice Stefania Limiti, che aveva menzionato la tragedia nel suo libro "Doppio Livello" (3), ha accettato di rispondere ad alcune domande a 46 anni esatti dall'incidente, fornendo un contributo illuminante sull'intera vicenda.

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