18 aprile 2018

Siria, vescovo Aleppo: “Stanno facendo come in Iraq. Armi chimiche un pretesto”


"Sia fatta luce su tutto ed emerga la verità non come hanno fatto con l'Iraq in cui hanno distrutto il Paese dicendo che c'erano le armi chimiche. Così come hanno fatto con l' Iraq lo stanno facendo ora con la Siria. La gente lo ha capito, non è stupida".. Lo ha detto il vescovo caldeo di Aleppo e presidente della Caritas siriana, mons. Antoine Audo, intervistato da Antonio Soviero, manifestando forti dubbi sul fatto che il regime di Damasco abbia usato armi chimiche a Douma, nel Ghouta est. "Come è possibile che Assad – ha aggiunto mons. Audo – abbia usato armi chimiche per difendersi ? Non è logico. Gli americani e i russi usano la Siria come pretesto per farsi la guerra e difendere i loro interessi internazionali".


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17 aprile 2018

È la fine del Diritto Internazionale?, di Thierry Meyssan

La guerra contro il Medio Oriente Allargato dovrebbe concludersi con il ritiro, entro i prossimi sei mesi, delle truppe USA. Non ci sono però elementi che inducano a credere che in tutti i Paesi aggrediti si affermerà di nuovo la pace. Oggi stiamo assistendo a quel che pare essere un tentativo di mettere fine al diritto internazionale. Ci stiamo avviando verso il consolidamento della bipartizione mondiale oppure verso un conflitto generalizzato?

Gli occidentali vogliono liberarsi dai vincoli del Diritto Internazionale? Questa la domanda del ministro degli Esteri russo, Sergueï Lavrov, alla Conferenza sulla Sicurezza Internazionale di Mosca [1].
Negli ultimi anni Washington si è fatto promotore del concetto di “unilateralismo”: il Diritto Internazionale e le Nazioni Unite devono farsi da parte al cospetto della potenza degli Stati Uniti.
Questa concezione della politica è intrinseca alla storia americana: i coloni che arrivavano nelle Americhe volevano potervi vivere a proprio modo e fare fortuna. Ogni comunità si faceva le proprie leggi e rifiutava ogni interferenza del governo centrale negli affari locali.
Il presidente e il Congresso Federale sono i titolari della Difesa e degli Esteri, ma non accettano, al pari dei cittadini, un’autorità che sia al di sopra della loro.
Bill Clinton ha attaccato la Jugoslavia violando allegramente il Diritto Internazionale. George Bush Jr. e Barack Obama hanno fatto altrettanto, il primo contro l’Iraq, il secondo contro la Libia e la Siria. Quanto a Trump, non ha mai nascosto la propria insofferenza verso le regole sovranazionali.
Alludendo alla dottrina Cebrowski-Barnett [2], Lavrov ha dichiarato: «Si ha la netta sensazione che gli Stati Uniti stiano cercando di mantenere in questo immenso spazio geopolitico [il Medio Oriente] un caos controllato, con la speranza di poterlo utilizzare per giustificare la propria presenza militare nella regione per un tempo illimitato e per dettarvi la propria agenda».
Anche il Regno Unito ha usato il Diritto Internazionale per il proprio tornaconto. Il mese scorso, senza la benché minima prova, Londra ha accusato Mosca per l’”affare Skripal” e ha tentato di mettere insieme una maggioranza all’Assemblea Generale dell’ONU per escludere la Russia dal Consiglio di Sicurezza. Per gli anglosassoni sarebbe ovviamente più agevole riscrivere unilateralmente il Diritto, piuttosto che misurarsi con i propri avversari.
Mosca non crede che sia stata un’iniziativa di Londra, ma che sia Washington a condurre, per l’ennesima volta, le danze.
La “globalizzazione”, ossia la “mondializzazione dei valori anglosassoni”, ha creato tra gli Stati una società classista. Ma questo nuovo problema non va confuso con il diritto di veto. L’ONU, benché proclami la parità tra gli Stati, quali che siano le dimensioni, contraddistingue cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, ai quali riconosce diritto di veto. Questo direttorio, formato dai principali vincitori della seconda guerra mondiale, è la condizione per far loro accettare il principio di un Diritto sovranazionale. Tuttavia, quando questo direttorio fallisce nel sancire il Diritto, l’Assemblea Generale può subentrare, almeno in teoria, visto che i piccoli Stati che si mettono contro i grandi devono poi subire misure ritorsive.
La “mondializzazione dei valori anglosassoni” dimentica l’onore e valorizza il profitto, al punto che il peso delle proposte di uno Stato è ormai commisurato al suo rango economico. Ciononostante, negli ultimi anni tre Stati sono riusciti a farsi ascoltare nel merito di quanto proposto e non in funzione della loro economia: l’Iran di Mahmoud Ahmadinejad (oggi agli arresti domiciliari nel proprio Paese), il Venezuela di Hugo Chavez e la Santa Sede.
La confusione generata dai valori anglosassoni ha portato a finanziare organizzazioni intergovernative con denaro di privati. Una cosa tira l’altra: così, per esempio, gli Stati membri dell’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (UIT) hanno progressivamente rinunciato al proprio potere propositivo a beneficio di operatori privati delle telecomunicazioni, riuniti in un Comitato “consultivo”.
La “comunicazione”, nuovo nome della “propaganda”, si sta sempre più imponendo nelle relazioni internazionali. Dal segretario di Stato degli Stati Uniti, che brandisce una fiala di pseudo-antrace, al ministro britannico degli Esteri, che mente sulla provenienza del Novitchok di Salisbury: la menzogna ha scalzato il rispetto, facendo largo alla diffidenza.
Nei suoi primi anni l’ONU si sforzava di impedire la “propaganda di guerra”, oggi invece sono gli stessi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza a ricorrervi.
Il fondo è stato toccato nel 2012, quando Washington è riuscito a far nominare uno dei suoi falchi più accaniti, Jeffrey Feltman, numero due dell’ONU [3]. Da quel momento le guerre sono orchestrate a New York, nel seno dell’istituzione che dovrebbe prevenirle.
La Russia oggi s’interroga sulla possibilità che gli occidentali intendano bloccare le Nazioni Unite. Se questo accadesse, Mosca dovrebbe creare un’istituzione alternativa, ma in tal caso non ci sarebbe più un forum per il confronto fra i due blocchi.
Allo stesso modo in cui una società orfana del Diritto si trasformerebbe in un caos dove l’uomo torna a essere lupo per ogni altro uomo, il mondo, se rinuncerà al Diritto Internazionale, ridiventerà un campo di battaglia.


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16 aprile 2018

I cristiani siriani: «Le armi chimiche un pretesto per fare la guerra» famigliacristiana.it

«Siamo stati svegliati alle 4 di notte dal sibilo dei missili e abbiamo capito che gli attacchi erano in corso. Si sono udite delle esplosioni nei dintorni di Damasco. Qui al centro per ora tutto è tranquillo ma la gente è preoccupata per il futuro. La popolazione vuole vivere in pace e non sotto l'incubo delle bombe». Al Sir, l'agenzia della Cei, le parole di padre Bahjat Elia Karakach, francescano della Custodia di Terra Santa, superiore del convento dedicato alla conversione di san Paolo, la parrocchia principale di rito latino della Capitale, a Damasco, racconta l'attacco congiunto di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia sferrato nella notte contro tre obiettivi a Damasco e Homs. Si tratterebbero di un centro di ricerca nella capitale siriana, di un impianto di stoccaggio di armi chimiche e di una struttura contenente armi chimiche ed equipaggiamenti, entrambi a ovest di Homs. La risposta militare di Trump al presunto utilizzo di armi chimiche contro la città siriana di Douma, che gli Usa hanno da subito attribuito al regime di Bashar al Assad, non si è fatta attendere oltre. «Sapevamo che esisteva l'intenzione di bombardare da parte degli Usa dopo il presunto attacco chimico alla Ghouta orientale ma la speranza era riposta in un'indagine oggettiva sull'uso di armi chimiche e che per questo non ci sarebbero stati lanci di missili», dichiara il frate che spera che «non si ripeta quanto già avvenuto in Iraq che fu invaso nel 2003 (da una coalizione formata per la maggior parte da Stati Uniti e Regno Unito, e con contingenti minori di altri Stati, ndr) perché il regime di Saddam Hussein era stato accusato di possedere armi di distruzione di massa. Armi che non furono mai trovate. La volontà è distruggere la Siria. Il progetto va avanti con queste bombe. Non ci resta che pregare per la pace ora più che mai».
All'agenzia DIRE monsignor Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo e presidente di Caritas Siria, accusa Donald Trump: «Usano l'argomento degli attacchi chimici solo per continuare la guerra, alimentare il commercio di armi e compiacere l'Arabia Saudita», ha detto. «Vogliono dimostrare il loro potere ma come vescovi e come cristiani diciamo che alla storia delle armi chimiche non crediamo», ha aggiunto il Vescovo dopo i raid contro obiettivi governativi a Damasco e Homs. «Questo è solo un argomento per alimentare la guerra in Siria e il commercio delle armi, sfruttando la lotta tra sunniti e sciiti e compiacendo l'Arabia Saudita e le altre potenze del Golfo».
Il Vicario apostolico di Aleppo dei Latini, monsignor Georges Abou Khazen
Il Vicario apostolico di Aleppo dei Latini, monsignor Georges Abou Khazen

IL VICARIO APOSTOLICO DI ALEPPO: «CON QUESTI MISSILI HANNO GETTATO LA MASCHERA»

Molto critico sui raid di Usa, Francia e Gran Bretagna anche il Vicario apostolico di Aleppo dei Latini, monsignor Georges Abou Khazen, che al Sir ha detto: «Con questi missili hanno gettato la maschera. Prima era una guerra per procura. Ora a combattere sono gli attori principali. Sono sette anni, è iniziato l'ottavo, che si combatte sul suolo siriano e ora che gli attori minori sono stati sconfitti, in campo sono scesi i veri protagonisti del conflitto».
Le bombe della scorsa notte sono state sganciare come reazione ai presunti attacchi chimici nel Ghouta: «Aspettiamo gli esperti per indagare sul presunto attacco chimico a Douma ma dopo questi raid sarà tutto più difficile», dice Khazen. «Ogni appello alla pace cade nel vuoto, solo papa Francesco continua a sperare nella pace e noi con lui. Intanto cresce la sofferenza della popolazione che chiede pace e in cambio ottiene bombe e missili. Qui la gente si aspettava qualcosa di simile e purtroppo è avvenuto». L'auspicio di mons. Abou Khazen è che «questi attacchi non si allarghino anche in altri luoghi della regione perché sarebbe davvero pericoloso e tutto potrebbe sfuggire di mano. Serve una soluzione condivisa da raggiungere senza menzogne. Non abbiamo altre armi che la preghiera. Oggi», conclude il francescano, «il Vangelo ci propone il racconto degli Apostoli sulla barca in mezzo alla tempesta, di notte, salvati da Gesù che, apparso loro, diceva: "Sono io, non abbiate paura!". Questa sia la nostra speranza e la nostra forza». Proprio nei giorni scorsi era stata annunciata dal vicario l'organizzazione di una «Giornata di preghiera nazionale per la pace».

Siria: le “fake news” sulle armi chimiche per creare il casus belli?

Lo scenario che si sta delineando in queste ore nel conflitto siriano ricorda da vicino la “pistola fumante” delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein con cui gli Usa giustificarono agli occhi del mondo l’invasione dell’Iraq nel 2003.
Ci sono infatti molte ragioni per esprimere scetticismo di fronte alla denuncia dell’ennesimo attacco chimico contro i civili siriani attribuito al regime di Damasco nell’area di Douma, ultima roccaforte delle milizie jihadiste filo saudite di Jaysh al-Islam nei sobborghi di Damasco.
Innanzitutto perchè già in passato attacchi simili sono stati attribuiti ai governativi senza che emergessero prove concrete mentre notizie e immagini diffuse oggi dai “media center” di Douma come ieri da quelli di Idlib, Aleppo e altre località in mano ai ribelli sono evidentemente propagandistiche e palesemente costruite.
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Lo schema si è già ripetuto più volte fin dalla guerra in Libia del 2011 e poi in Siria: fonti “umanitarie” strettamente legate alle milizie jihadiste e ai loro alleati arabi diffondono notizie non verificabili per l’assenza di osservatori neutrali.
Notizie e immagini di attacchi chimici vengono subito diffuse dalle tv arabe appartenenti alle monarchie del Golfo, cioè agli sponsor dei ribelli, per poi rimbalzare quasi sempre in modo acritico in Occidente.
Basti pensare che in sette anni di guerra la fonte da cui tutti i media occidentali attingono è quell’Osservatorio siriano per i diritti umani che ha sede a Londra, vanta una vasta rete di contatti in tutto il paese di cui nessuno ha mai verificato l’attendibilità, è schierato con i ribelli cosiddetti “moderati” ed è sospettato di godere del supporto dei servizi segreti anglo-americani.
Anche per questo non bastano i cadaveri dei bambini o dei sopravvissuti con mascherine collegate a supposte bombole ad ossigeno per dimostrare l’esito di un attacco chimico e la sua paternità.
Meglio ricordare le immagini diffuse l’anno scorso dei ribelli di Idlib (qaedisti dell’ex Fronte al-Nusra) che mostravano improbabili soccorritori con abiti estivi e privi di protezioni occuparsi di supposte vittime del gas nervino di Assad. Se così fosse stato gli stessi soccorritori sarebbero morti in pochissimi minuti poiché quell’agente chimico viene assorbito anche attraverso la pelle.
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A suggerire prudenza prima di attribuire agli uomini di Assad l’attacco chimico a Douma contribuiscono inoltre altre valutazioni. Jaysh al-Islam è una milizia salafita nota per aver impiegato i civili come scudi umani e per aver utilizzato il cloro nelle battaglie contro i curdi dell’aprile 2016.
Il cloro non è un’arma ma un prodotto chimico che può essere letale in forti concentrazioni e in ambienti chiusi, facilmente reperibile e già utilizzato nel conflitto siriano anche dallo Stato Islamico.
I miliziani dispongono quindi da tempo dello stesso aggressivo chimico e non è difficile ipotizzare, a Douma come in tanti altri casi incluso quello di Khan Sheykoun l’anno scorso, che siano stati gli stessi ribelli a liberare cloro ad alta concentrazione per uccidere civili e attribuirne la colpa a Damasco puntando così a incoraggiare una reazione internazionale contro il regime di Assad.
Del resto fu il presidente Barack Obama, nel 2013, a indicare nell’uso di armi chimiche da parte delle forze di Assad, quel “filo rosso” che avrebbe scatenato un intervento americano e non a caso ieri Trump ha accusato il suo predecessore di non aver chiuso i conti allora con Assad, definito “un animale”.
Il presidente siriano è certo uomo senza scrupoli ma non ha alcun interesse a usare armi chimiche che sono, giova ricordarlo, armi di distruzione di massa idonee a eliminare migliaia di persone in pochi minuti non a ucciderne qualche decina: per stragi così “limitate” bastano proiettili d’artiglieria e bombe d’aereo convenzionali.
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Assad sta ripulendo le ultime sacche di resistenza in mano ai ribelli jihadisti e sta evacuando i civili dalle zone di combattimento: perché dovrebbe scatenare la riprovazione internazionale proprio mentre sta per cacciare i ribelli anche da Douma? Perché dovrebbe colpire quei civili che i suoi uomini stanno evacuando, per giunta dopo un accordo raggiunto con i miliziani di Jaysh al-Islam che consentirà il loro trasferimento forse in un’area vicina a Jarablus, al confine con la Turchia?
Il fatto che ieri Israele abbia invocato un attacco militare statunitense contro Damasco (conducendo poi un raid aereo contro la base T-4, vicina a Palmyra, con missili lanciati dallo spazio aereo libanese) e Trump abbia accusato anche Russia e Iran in nome di un attacco chimico che nessuna fonte neutrale ha potuto finora verificare, induce a ritenere che ci troviamo di fronte all’ennesima operazione propagandistica messa a punto usando lo spauracchio delle armi chimiche.
Washington infatti non ha escluso azioni militari contro Damasco caldeggiate anche da Parigi (che potrebbe partecipare a eventuali raid punitivi) mentre la Russia ha messo in guardia gli Usa contro un “intervento militare per pretesti inventati” in Siria, che potrebbe “portare a conseguenze più pesanti”.
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La cautela dovrebbe quindi essere d’obbligo, specie dopo la figuraccia rimediata dal ministro degli Esteri britannico Boris Johnson che sulla responsabilità russa nel “caso Skripal” è stato smentito dal direttore dei laboratori militari di Sua Maestà.
Tra l’altro la denuncia dell’attacco chimico a Douma sembra cadere a proposito per scoraggiare il ritiro delle forze americane dalla Siria settentrionale e orientale, annunciato da Trump dopo il fallimento del proposito della Casa Bianca di far pagare ai sauditi qualche miliardo di petrodollari per finanziare le operazioni dei militari americani.
Il ritiro dei 2mila americani rischia però di lasciare carta bianca alle truppe turche nel nord del Paese e a quelle di Damasco nell’est, per questo oltre agli arabi e agli israeliani anche il Pentagono si oppone alla decisione annunciata da Trump.
Forse il presidente potrebbe essere costretto a cambiare idea di fronte all’indignazione dell’opinione pubblica e della comunità internazionale per i bambini uccisi dal cloro di Assad, “l’animale” alleato di russi e iraniani per il quale Trump minaccia una punizione esemplare.
Foto: AP, Die Welt, Douma Media Center e SANA
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15 aprile 2018

Syrian Researcher: Focus on Alleged Chemical Attack Ignores War's Ongoing Deaths by Airstrikes, Bullets | Daily Digest 04/13/2018

As Trump Reconsiders TPP Stance, Fair Trade Advocates Say Real Fight Is over NAFTA Renegotiation & Nearly 4 People Are Evicted Every Minute: New Project Tracks U.S. Eviction Epidemic & Effects

Democracy Now! Daily Digest

A Daily Independent Global News Hour with Amy Goodman & Juan González

Friday, April 13, 2018

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Via Rita Atria - Napoli, Giunta approva tre nuovi toponimi

Rita Atria, Titina de Filippo e Giorgio Ambrosoli
Riceviamo e pubblichiamo dall’Ufficio Stampa del Comune di Napoli.
La Giunta comunale, su proposta dell’Assessore alla toponomastica Alessandra Clemente, ha approvato l’attribuzione di tre nuovi toponimi.
Nello specifico: intitolazione dell’area di circolazione attualmente denominata “Vicoletto Pietro Colletta”, nel quartiere San Lorenzo, a Rita Atria, testimone di Giustizia, mediante l’istituzione del nuovo toponimo “Via Rita Atria” su proposta della Consigliera della Municipalità 4 Simona Riso.
Sempre nel quartiere San Lorenzo l’intitolazione dell’area di circolazione attualmente denominata “Via Nuova San Ferdinando” a Titina de Filippo, proposta sempre dalla 4 Municipalità.
Nel quartiere Chiaiano l’intitolazione dell’area di circolazione attualmente denominata “Traversa Giovanni Antonio Campano” a “Giorgio Ambrosoli”, mediante l’istituzione del nuovo toponimo “Via Giorgio Ambrosoli”.
Fonte: Napoli, Giunta approva tre nuovi toponimi