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18 luglio 2022

USTICA 42 ANNI DOPO / IN ARRIVO I DOCUMENTI “DESECRETATI” DA USA E FRANCIA. E’ LA SVOLTA?


A 42 anni dalla strage di Ustica siamo arrivati al paradosso.

Da un lato la verità, finalmente, può essere più vicina, perché a quanto pare sono stati una buona volta ‘desecretati’ tutti i documenti francesi e americani ottenuti dopo estenuanti rogatorie internazionali. Documenti – se integrali e autentici, ma soprattutto non taroccati – che provano quanto è successo nei  cieli e nei mari di Ustica: cosa cioè ha causato l’esplosione del DC 9 Itaviaprovocando la morte di 81 passeggeri.

Ma c’è un secondo, clamoroso fronte che si sta aprendo.

Una fantomatica ‘Associazione per la Verità sul Disastro di Ustica’, promossa dall’ex Dc Carlo Giovanardi e dall’ex generale Leonardo Tricarico, ha appena presentato un esposto alla Procura di Bologna chiedendo che venga aperta una nuova inchiesta. E hanno presentato un dossier che riprende la vecchia (e depistante) pista della ‘bomba’ a bordo dell’Itavia e di due misteriose piste che portano al ‘terrorismo’.

Come mai salta fuori proprio adesso questo ‘esposto’ che rischia di gettar molto fumo in un contesto in cui finalmente pare si possa arrivare a delle conclusioni, cioè alla procura di Roma dove    si trova il fascicolo processuale aperto da quasi 15 anni, cioè dal 2008?


ABBIAMO LE CARTE! ESULTA DARIA BONFIETTI

Non ha dubbi Daria Bonfietti, la storica presidente della altrettanto storica ‘Associazione dei familiari delle vittime di Ustica’, che adesso vede spuntare questa fantomatica neo sigla per la Verità su Ustica: “L’iniziativa di presentare un nuovo esposto a Bologna – spara forte Bonfietti – è una autentica provocazione, una chiara manovra di depistaggio, e contiene una serie di menzogne, a cominciare dalla bomba a bordo, una storia trita e ritrita che ha fatto perdere anni ed è servita solo a sviare le indagini”.

14 settembre 2021

USTICA, MOBY PRINCE, ROSSI, PANTANI – CALPESTATA LA MEMORIA DELLE VITTIME


Stragi di Stato. Sono trascorsi più di 40 e 30 anni dalle tragedie di Ustica e del Moby Prince e le vittime non hanno ancora avuto uno straccio di giustizia.

Uccise due volte, una memoria calpestata ad ogni hanno che passa, tra le solite litanie commemorative, intonate anche da quelle autorità istituzionali che hanno coperto e continuano a coprire i responsabili, in un vergognoso groviglio di collusioni & complicità.

 

USTICA, LA PISTA FRANCESE MAI BATTUTA

Parzialmente risarciti i familiari delle vittime di Ustica, fino ad oggi, e risarcita anche la compagnia ‘Itavia’, che comunque poco tempo dopo quel tragico 27 giugno 1980 era anche fallita. Magra consolazione per tutti, visto che non ci sono responsabili per l’eccidio: nessuno è stato mai condannato da una sentenza, nessuno ha scontato un giorno di galera, nessuno paga il fio per quella atrocità.

Generali, ammiragli, militari e politici liberi come fringuelli.

Eppure la ricostruzione storica di quella tragica notte è sotto gli occhi di tutti: almeno di chi vuol vedere. Mentre la giustizia, of course, è regolarmente cieca.

La tragica verità venne rivelata, poco prima di morire, dall’ex capo dello Stato Francesco Cossiga, che di stragi & misteri di Stato era ben a conoscenza. E nel 2007 raccontò che il missile assassino era partito da una portaerei francese, quella notte nelle acque del Tirreno.

Una ricostruzione che combaciava perfettamente con quella effettuata da una super documentata inchiesta prodotta dal transalpino ‘Canal Plus’.

E incredibilmente raccontata molti anni prima, nel ’91, da Franco Piro alla Voce. L’allora sottosegretario del Psi alla Difesa descrisse nei dettagli quello scenario di guerra nelle acque del Mediterraneo: era stata la portaerei ‘Clemenceau’ – disse – a lanciare il missile.

Sorge spontaneo un interrogativo alto come un grattacielo: come mai la magistratura, che pure ha puntato i riflettori sulla tragedia del tutto inutilmente per decenni, non ha mai voluto battere, neanche per un millimetro, la ‘pista francese’? Era così difficile ottenere, attraverso apposite rogatorie internazionali, tutti i tracciati radar in possesso dei transalpini in grado di documentare il posizionamento e i movimenti delle portaerei in quella tragica notte?

Giancarlo Dettori. Nel montaggio di apertura David Rossi, al centro l’incendio del Moby Prince e, sulla destra, la ricostruzione del DC9 di Uscita e un disegno che ritrae Marco Pantani

Giallo nel giallo, eccoci al caso Dettori. Stiamo parlando del maresciallo dell’aeronautica Alberto Dettori che quella notte era in servizio alla stazione radar di Poggio Ballone.

Sette anni dopo il suo corpo è stato trovato appeso ad un albero.

Dopo lunghissime, estenuanti ricerche, la famiglia cinque anni fa ha chiesto alla magistratura di Grosseto di riaprire il caso, subito archiviato in fretta e furia come il solito ‘suicidio’ da stress (un po’ postumo…).

Ebbene, quella richiesta è stata condannata, pochi mesi fa, allo stesso destino: archiviata, sepolta senza lo straccio di una motivazione plausibile.

E infatti la famiglia non si arrende. Alberto – gridano con forza – è una vittima collaterale di Ustica, perché quella notte ha visto quel che non doveva vedere. E, soprattutto, non doveva raccontare.

E guarda caso – come di recente la Voce ha documentato in due inchieste che potete leggere cliccando sui link in basso – pochi mesi prima di morire il maresciallo Dettori aveva ricevuto una stranissima visita, durata alcuni giorni, di un ‘collega’ francese, con ogni probabilità un uomo dei Servizi, conosciuto un anno prima nel corso di una missione a Nizza.

Incredibile ma vero, l’identità di quel militare francese non è stata mai appurata dai nostri inquirenti. Né hanno fatto il minimo sforzo per accertarla. Ai confini della realtà.

Chiara la volontà di coprire, insabbiare, depistare. Come è successo per 41 lunghissimi e drammatici anni da quel 27 giugno.

08 giugno 2021

“SUICIDIO” DETTORI / IL GIALLO DELL’“AGENTE” FRANCESE SPARITO


Il giallo del “suicidio” di Mario Alberto Dettori, il maresciallo dell’Aeronautica trovato impiccato ad un albero sette anni dopo la tragedia di Ustica.

Giorni fa il gip del tribunale di Grosseto, Marco Mezzaluna, ha archiviato il caso, nato cinque anni fa, nel 2016, in seguito alla denuncia “contro ignoti” dei familiari della vittima, che hanno sempre parlato di omicidio, escludendo con forza e con convinzione che il maresciallo abbia mai potuto pensare di togliersi la vita.

Giancarlo Dettori. Sopra, il gip Marco Mezzaluna

Taglia corto adesso il gip toscano: “Ritiene questo giudicante che il decesso del Dettori sia da attribuire ad un gesto suicidiario, senza responsabilità alcuna di terze persone, non esistendo agli atti alcun elemento che possa anche solo lontanamente portare a ritenere che la morte sia stata dovuta ad un omicidio o comunque ad un intervento di terze persone, così come già escluso dal Giudice Istruttore che ebbe ad indagare sul disastro di Ustica”.

Niente di nuovo, nessun passo avanti, nessun elemento interessante venuto a galla in tutti questi anni, vale a dire dalle prime indagini del giudice istruttore Rosario Priore degli anni ’80 fino ad oggi. E’ questa la realtà giudiziaria (non) emersa.

Ma la famiglia non si arrende, e replica a muro duro, come abbiamo riportato nell’inchiesta di pochi giorni fa. Non vuole più la Verità, perché ormai acclarata, e tale da non esser vista solo da chi non vuol vedere; ma la Giustizia, mai affiorata, e soprattutto per onorare la memoria di un eroe, fino ad oggi poco celebrato, perché la sua storia non ha mai avuto la ribalta delle cronache, quasi dimenticata dai media.

25 maggio 2020

Alpi, Borsellino & Misteri / Giustizia Morta, Memoria Calpestata


Processi sul binario morto, inchieste stoppate, giustizia ormai agonizzante.
Tutto “normale” in tempi di coronavirus?
Possibile mai che ogni straccio di ricerca della verità vada a finire in discarica e chi ne ha diritto debba essere calpestato?
E’ naturale che la Costituzione sia stata abrogata a nostra insaputa?
Che la democrazia sia finita a marcire in cantina?
La Voce da anni segue, con la sua rubrica “misteri” e con frequenti inchieste, alcune storie che contrassegnano la drammatica vita del nostro Paese, i tanti buchi neri che la popolano, le non-verità che angosciano il nostro cammino nel corso dei decenni.
E da mesi è black out continuo. Tutto fermo anche prima dell’epidemia, ora il buio è totale.

Niente processi, ma anche stop alle inchieste: possibile mai? Mentre si discute se sia possibile effettuare videoconferenze per riprendere il filone penale.
Passiamo in rapida carrellata alcuni “misteri” che non fanno registrare più alcuna notizia: un encefalogramma piatto che crea angoscia e dovrebbe suscitare scandalo.
Ma nessuno muove un dito, nessuno s’incazza, neanche un’anima protesta.


La Procura di Roma
ALPI E BORSELLINO, DEPISTAGGI PERFETTI
Partiamo dal porto delle nebbie, la procura di Roma.
Proprio ieri abbiamo rammentato l’unica foglia che s’è mossa, con l’affossamento in Vaticano dell’inchiesta sui frammenti delle ossa nel cimitero teutonico. Un’inchiesta partita un anno e mezzo fa ed effettuata – incredibile ma vero – in appena 48 ore. Tutto finito in una bolla di sapone. Con la benedizione papale e anche quella del numero uno dei tribunali vaticani, quel Giuseppe Pignatone al timone della procura delle nebbie fino ad un anno fa.

Una procura, quella capitolina, che sta cercando in tutti i modi di affossare, una volta per sempre, ogni possibile processo per l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Il 4 aprile è scaduto il termine per la proroga delle indagini ordinate dal gip Andrea Fanelli, dopo la duplice richiesta di archiviazione avanzata dal pm Elisabetta Ceniccola e controfirmata – vale a dire pienamente avallata – da Pignatone.
Ma quel termine è passato senza che si sia mosso nulla.
Possibile mai? Rinviata anche la semplice udienza davanti al gip che doveva stabilire se proseguire nell’inchiesta oppure archiviare il tutto. Ha un senso?
Nessuno, a Roma, se ne fotte dell’inchiesta di Perugia, che tre anni fa scagionò il giovane somalo condannato da innocente a 16 anni di galera, e mise nero su bianco del clamoroso “depistaggio di Stato”. Una sentenza che apriva la strada al processo romano, invece rimasta – tanto per cambiare – ad ammuffire. Mentre mandanti e killer di Ilaria e Miran sono liberi come fringuelli.
Un’altra inchiesta – ancor più “vecchia” – resta a marcire negli scantinati del porto delle nebbie. Riguarda l’omicidio di Pier Paolo Pasolini e venne riaperta tre anni fa per la scoperta di un terzo Dna sulla scena del crimine: oltre a quello del regista e a quello di Pino Pelosi, c’è anche la traccia di una terza presenza. Prove scientifiche, inoppugnabili, presentate da un perito degli eredi Pasolini.
Immaginate che qualcosa si sia mai mosso in questi tre anni? Niente. Neanche il becco di una risposta giudiziaria. Figuriamoci adesso con l’ottima e abbondante scusa della pandemia.

Anna Maria Palma
Facciamo un salto in Sicilia e ci troviamo alle prese con il processo Borsellino 5. Che si articola in due filoni relativi – anche stavolta – ad un clamoroso depistaggio di Stato. Nel processo in corso (sic) a Caltanissetta sono alla sbarra quattro poliziotti del team guidato all’epoca dall’ex questore di Palermo Arnaldo La Barbera, accusati di aver taroccato il pentito Salvatore Scarantino, sulla scorta delle cui denunce sono finiti in galera, per altrettanti 16 anni, sette persone che non c’entravano niente con la strage di via D’Amelio.
Mentre a Messina mesi fa è stato aperto un fascicolo per accertare le responsabilità dei magistrati che per primi hanno indagato su quella strage, Anna Maria Palma e Carmine Petralia, dai quali – di tutta evidenza – non potevano non partire gli ordini diretti al gruppo di La Barbera.
Un processo e un’inchiesta che in pratica s’incrociano, perché entrambe hanno a che fare con quel clamoroso depistaggio di Stato che non ha mai permesso di scovare, anche in questo caso, mandanti e killer.

I “SUICIDATI” PANTANI E ROSSI
A Napoli, invece, restano le spoglie dell’inchiesta sull’omicidio di Marco Pantani, il campione che fu fermato a Madonna di Campiglio per doping e poi finito in un gorgo senza fine.
Due le inchiesta partite dopo la sua tragica fine nel residence Le Rose di Rimini il 14 febbraio 2004. Una per quella morte, appunto: nonostante l’immensa mole di prove per documentare un omicidio in piena regola, la procura di Forlì ha archiviato il tutto, e la sentenza è stata confermata dalla Cassazione.

Resta in piedi il filone approdato a Napoli, su quel Giro d’Italia del 1999 taroccato e comprato dalla camorra, che aveva scommesso sulla sconfitta del Pirata. Anche stavolta una mole di prove che riguardano le “pressioni” sull’equipe medica per alterare le provette e l’ematocrito; e il coinvolgimento dei clan che aveva puntato grosse cifre sull’esito del Giro. Forlì archivia, mentre un esposto del legale della famiglia Pantani fa riaprire due anni e mezzo fa il caso alla Procura Antimafia di Napoli. Da allora non si è mossa una foglia. Silenzio tombale.
Da un “suicidio” all’altro il passo non è lungo. Basta fare un salto a Siena, dove nessuno ha mai trovato il bandolo della matassa per il giallo sulla fine di David Rossi, il responsabile delle comunicazioni del Monte dei Paschi di Siena. Un chiaro omicidio, soprattutto per la dinamica dei fatti che documentano i segni di un trascinamento del corpo e il volo dal quinto piano di Palazzo Salimbeni, quartier generale di MPS. “Doveva morire” – David Rossi, così come Marco Pantani – perché aveva deciso di vuotare il sacco su intrighi & affari nel mondo della finanza.
Un’inchiesta subito archiviata dagli inquirenti senesi, poi riaperta solo per la tenacia della famiglia di David. E’ quindi partito un altro filone d’inchiesta, stavolta a Genova, teso a smascherare depistaggi & affossamenti – tanto per cambiare – nell’inchiesta toscana.
Ma siamo alle solite. Da un anno circa è calato il silenzio più assoluto, figurarsi negli ultimi mesi.
E le stragi di Stato? Figurarsi, peggio che andar di notte.

LE FIAMME DI STATO
Piccoli movimenti, mesi fa, per il rogo del Moby Prince, con i lavori della commissione parlamentare d’inchiesta che hanno messo nero su bianco quanto le inchieste giudiziarie siano state del tutto carenti, fuorvianti e anche stavolta depistanti. Un pesantissimo j’accuse.

il relitto del DC9 di Ustica
Ma sapete che fine ha fatto? Neanche uno starnuto. Anzi sì, perché lo “Stato” tre mesi fa ha riconsegnato ai parenti delle vittime alcuni scatoloni con degli effetti personali rimasti anche loro a marcire per anni negli scantinati. Ma di aprire, finalmente, una vera inchiesta nemmeno a pensarci. Meglio, stavolta, “affondare” tutto e per sempre. Annegata, quindi, la pista che portava ai traffici di armi sotto l’ombrello protettivo degli americani all’indomani del conflitto in Iraq, epicentro la base a stelle e strisce di Camp Derby.
E su Ustica? L’ultima notizia riguarda un piccolo risarcimento deciso dallo Stato a favore della compagnia aerea Itavia, proprietaria del velivolo che ospitava gli 81 innocenti. La compagnia fallì pochi mesi dopo: quale senso ha ora quel risarcimento? Un altro schiaffo alla memoria dei morti, le cui famiglie sono state private di uno straccio di giustizia, essendo rimasti anche stavolta liberi di volare come fringuelli gli assassini.

E chissenefrega se la pista da seguire è chiara come un cielo limpido: il missile lanciato da una portaerei francese – con ogni probabilità la Clemanceau – per attribuire poi la responsabilità alla Libia dell’allora colonnello Gheddafi. Ma la giustizia di casa nostra ha stracciato giustizia & verità per la Ragion di Stato, e non infastidire alleati americani e francesi.
Arriviamo a tempi più recenti. Che ne sarà dei cascami del processo per la strage – e il rogo – di Viareggio? Condannati e prescritti i condannati eccellenti, come i vertici di FS RFI, liberi di passare da una poltrona del parastato all’altra, con valanghe di emolumenti al seguito.
E l’inchiesta per l’eccidio del ponte Morandi: al palo anche i lavori della magistratura genovese?

www.lavocedellevoci.it

08 marzo 2019

USTICA / BONFIETTI: LA FRANCIA TIRI FUORI LA VERITA’


A quasi 40 anni dalla tragedia di Ustica che nel 1980 provocò la morte di 81 innocenti, continua la penosa odissea dei familiari delle vittime.
Lo Stato continua ad essere un muro di gomma: come è successo per le indagini e i vari processi, così anche sul fronte dei risarcimenti negati. L'ultimo caso è quello della moglie e dei tre figli di Carlo Parrinello. La giustizia civile ha stabilito un risarcimento da 1 milione 990 mila euro, di cui i ministeri della Difesa e dei Trasporti fino ad oggi hanno pagato solo 430 mila euro. Per la restante parte fanno orecchie da mercante e non vogliono sganciare altri euro.

La famiglia, a questo punto, ha attivato una ovvia procedura giudiziaria, notificando ai due dicasteri  una serie di pignoramenti, anche presso terzi (vale a dire ad alcuni debitori della Difesa e dei Trasporti).

Perchè si oppongono al pagamento? Secondo l'avvocatura dello Stato quello che è stato pagato basta e avanza (nonostante vi sia una sentenza ad hoc), visto che alla famiglia viene versato un assegno mensile di 1.600 euro. Motivo per cui bisogna ricalcolare tutto, ovvero sottrarre a quell'ammontare ancora dovuto tutte le mensilità che potranno in via teorica essere percepite fino al compimento dei 75 anni di età di ciascun componente del nucleo familiare.
Aritmetiche di Stato…

Su un altro fronte, la storica presidente del comitato che raggruppa i familiari delle vittime, l'ex deputata del Pd Daria Bonfietti, fa un appello al governo: non chiedete alla Francia solo l'estradizione dei terroristi che da decenni ospita, ma anche di dire finalmente la verità sulla strage di Ustica. Una verità – rammenta Bonfietti – che perfino l'ex capo di Stato Francesco Cossiga nel 2008 parzialmente svelò, indicando la pista della "portaerei francese" dalla quale partì il missile che abbattè il DC9 Itavia con gli 81 innocenti a bordo.

Una pista che addirittura nel 1991 l'allora parlamentare del PSI, Franco Piro, in un'intervista aveva rivelato alla Voce. Secondo Piro si trattava della portaerei Clemanceau.
E tre anni fa un documentario di Canal Plus ha ribadito tutte le circostanze.
Come mai, fino ad oggi, la Francia ha coperto e depistato? Sciocche e spesso infantili polemiche a parte, non sarebbe il caso di chiedere ai francesi qualcosa di serio, ossia la verità sugli 81 morti di Ustica?

Nel prossimo incontro sbandierato da Matteo Salvini sia con l'ambasciatore "di rientro" da Parigi che nel meeting con il collega francese degli Interni, non varrebbe la pena, in quell'occasione, far la voce grossa e pretendere dai transalpini carte & documenti su Ustica?

In apertura Daria Bonfietti

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31 gennaio 2019

Addio a Eleonora Fais: 43 anni alla ricerca della verità sulla strage di Montagna Longa



Se n'è andata per una malattia che le aveva rubato le ultime energie, dopo che per lustri aveva chiesto giustizia e si era scontrata con muri di silenzio. Una battaglia durata quasi 44 anni e dimenticata dalla maggioranza degli italiani. È morta così Eleonora Fais, sorella di Angela, scomparsa giovanissima nell'indecifrato disastro aereo di Montagna Longa.
Non si rassegnava alla reticenza delle istituzioni
Vivace e instancabile quasi fino all'ultimo, incapace di rassegnarsi all'oblio e alle reticenze istituzionali che rendono molto difficile, per chi è stato toccato da vicende come questa, una compiuta elaborazione del lutto. Nella vita di Eleonora Fais, già militante del Pci, vicinissima a Pio La Torre, assassinato da Cosa nostra nel 1982, si erano accumulate più domande che risposte, e questo probabilmente le aveva fatto più male di quanto potesse farle una malattia. Una sconfitta di cui diceva di sentirsi responsabile, anche se non dimenticava come si fosse giunti a quel risultato.
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Il disastro il 5 maggio 1972
È il 5 maggio 1972. Il comandante comunica alla torre di controllo di trovarsi a cinquemila piedi sulla verticale dell'aeroporto palermitano di Punta Raisi. Sono le 22,18 minuti del 5 maggio 1972, quasi 44 anni fa. "Viro sul mare", annuncia e il velivo inizia un'immenso arco, quasi un cerchio, perché il Dc8, un quadrimotore prodotto dalla Douglas Aircraf, possa appoggiare le ruote sulla pista "25 sinistra" di Punta Raisi. È l'ultima comunicazione radio prima che il volo Az 112 si schianti contro Montagna Longa, un rilievo di 935 metri che si erge sul confine tra i comuni di Cinisi e Carini.
"Sbandava come una persona malmenata"
Poco prima molti testimoni l'hanno visto passare già in fiamme sulle loro teste. "Procedeva sbandando, come una persona che sia stata malmenata. Hanno detto che i piloti, il comandante Roberto Bartoli e Bruno Dini, che in quel momento era ai comandi, avevano sbagliato rotta. Ma anche su una rotta sbagliata un aereo procede in maniera lineare, non come un un modellino di cartone lanciato da un bambino", diceva Eleonora. Torretta, Partinico, Balestrate, poi la valle tra Cinisi e Montagna Longa. Qui il Dc 8 sbatte su una parete e poi rimbalza come una gigantesca palla infuocata su un piccolo altopiano.
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Furono 115 le vittime, nessun sopravvissuto
Il tracciato degli ultimi minuti di volo è un' asettica collezione di puntini su una mappa, nella memoria di Eleonora era granito. Perché su quell'aereo c'erano 115 passeggeri e uno di questi si chiamava Angela Fais, giovanissima segretaria di redazione dell'Ora di Palermo e poi di Paese Sera, militante comunista, come tutta la sua famiglia, giovane cronista in attesa di diventare professionista.
La magistratura: "Colpa dei piloti"
Per la verità, una risposta – se così si può definire – la magistratura l'ha già data all'inizio degli anni Ottanta, dando la colpa a chi non può più rispondere, cioè ai piloti, professionisti con migliaia di ore di volo alle spalle e forti di moltissimi atterraggi e decolli proprio da Punta Raisi. La sentenza è stata una pietra tombale, che nel 2012 il parente di una delle vittime ha chiesto di risollevare per fugare dubbi, interrogativi, veri e propri misteri che gravano su quel disastro.
Da Trapani la pista neofascista e dei sequestri
Quando cerchi la verità, spiegava Eleonora, la vita continua. «Cresci i tuoi figli, ti occupi della famiglia, poi esci di casa e vai a bussare a tutte le porte che fino a quel momento sono rimaste chiuse». Un giorno Eleonora Fais ha bussato a quella della questura di Trapani, dove era custodito il rapporto su Montagna Longa di un serio e puntiglioso commissario di polizia, Giuseppe Peri, che aveva analizzato i fermenti di gruppi neofascisti e una serie di sequestri di persona. Il disastro, ipotizzava Peri, poteva essere stato provocato da una bomba che avrebbe dovuto esplodere a terra, quando i passeggeri avevano già lasciato il velivolo. Questo non era accaduto perché il volo Az 112 aveva dovuto dare la precedenza a un altro aereo, rimanendo in volo alcuni minuti più del necessario. Vero o falso che fosse, Peri non aveva potuto accertarlo perché qualcuno si era premurato di farlo trasferire. Un provvedimento, come scrive Francesco Terracina in una documentata analisi degli avvenimenti, propiziato dai buoni uffici di un magistrato e di un funzionario iscritti alla P2.
"Angela era felice, tornava da Roma"
"Non c'è bisogno che vieni all'aeroporto, vai direttamente al comizio davanti al Teatro Massimo, ci vediamo lì". Furono le ultime parole di Angela dette a Eleonora. "Per noi era una specie di riflesso condizionato", raccontava la sorella, "bisognava che le iniziative pubbliche ottenessero sempre il massimo di partecipazione, non un militante doveva essere distolto da questo compito, certo non per andare a prendere amici o parenti all'aeroporto". Mancavano solo due giorni alle elezioni politiche anticipate, il presidente Giovanni Leone aveva sciolto le camere 12 mesi prima che la legislatura si concludesse. I ricordi di Eleonora erano netti e inossidabili. "Angela era felice. Stava venendo a Roma con il regista Franco Indovina, assistente di Francesco Rosi".
L'intreccio con la mafia e il delitto Mattei
Indovina cercava elementi per ricostruire vita e morte di Enrico Mattei, vulcanico presidente dell'Eni, e Angela era una delle fonti. Sull'aereo insieme a loro c'erano personaggi importanti. All'epoca si disse che la mafia aveva tutto l'interesse a provocare l'incidente perché a bordo c'erano, tra gli altri, il comandante della Guardia di Finanza di Palermo e il magistrato Ignazio Alcamo, che aveva preso provvedimenti restrittivi nei confronti di Francesco "Ciccio" Vassallo, costruttore legatissimo a Vito Ciancimino. Un altro passeggero era Letterio Maggiore, già medico medico personale di Salvatore Giuliano, secondo Terracina uno dei pochi a conoscere la vera storia della strage di Portella della Ginestra.
Quel giorno c'era un'esercitazione
C'era più di un motivo per indagare meglio su quel disastro. Giuseppe Casarrubea, scomparso anche nel 2015i, da anni gestiva un prestigioso archivio delle vicende siciliane e nazionali e ricordava che il 5 maggio 1972 era in corso un'esercitazione "Dawn Patrol" (ricognizione all'alba).Le foto ufficiali evidenziavano sulla carlinga del Dc 8 tracce di colpi che potevano essere la conseguenza dell'impatto, o forse la causa. Non fu mai disposta una perizia per accertarlo. Come se una voragine avesse inghiottito tutte le risposte, lasciando solo le domande.
Un caso Ustica ante litteram?
"Una di queste", diceva Eleonora Fais, "riguarda la conversazione tra il comandante Bartoli e il pilota di un Ilyuscin sovietico. Si sa che i due si parlavano in inglese, ma di quell'aereo non si sa altro. Che ci faceva a Punta Raisi, chi erano i passeggeri a bordo, dove era diretto?" Impossibile nascondere il dubbio che quella di Montagna Longa sia stata una tragedia molto simile a quella di Ustica, quando un Dc 9 diretto a Palermo fu abbattuto per errore nel corso di un'azione di guerra i cui contorni non sono ancora completamente definiti. "Siamo stati lasciati soli, anche dal partito", concludeva Eleonora e altro non voleva aggiungere.

www.consumatrici.it

Strage di Montagna Longa: addio a Maria Eleonora Fais

montagna longaLo scorso 31 gennaio (2016) è morta Eleonora Fais, sorella di Angela, una delle 115 vittime della strage di Montagna Longa. Sulla sua pagina facebook la nota scrittrice Stefania Limiti ha voluto così ricordare l'amica. "Era il 5 maggio 1972 quando il volo Alitalia AZ 112 si schiantò in fase di atterraggio contro Montagna Longa, tra il territorio di Cinisi ed il territorio di Carini, in provincia di Palermo, vicino l'Aeroporto di Punta Raisi. E' stato uno dei più tragici episodi della strategia della tensione, completamente dimenticato, cancellato, abbandonato, rubricato come 'incidente'. Eleonora non ha mai smesso di cercare la verità, era una combattente mossa non solo dall'amore per la sorella ma anche da tanta passione civile e politica, da solida militante comunista. Il passare degli anni, i silenzi, la memoria perduta di quel dramma l'hanno consumata. Una volta mi disse: "non siamo riusciti a trovare la verità, è anche responsabilità nostra. È la nostra sconfitta". Sentiva questo peso assurdo sulle sue spalle, lei così minuta. Si è lasciata andare, indebolita alla fine da un lungo digiuno. Mi piace pensare che proprio con l'ultimo respiro abbia finalmente riabbracciato la sua Angela. Che la terra ti sia lieve, cara Eleonora".
Con profonda gratitudine nei confronti di Eleonora Fais per la sua incrollabile ricerca della verità, ci uniamo al ricordo di Stefania Limiti, con la consapevolezza che la storia sulla strage di Montagna Longa non è stata ancora scritta. Se non parzialmente.
www.antimafiaduemila.com

22 luglio 2018

Strage di Ustica, il depistaggio è (ri)partito


L’aveva chiesto il sindaco di Bologna  Virginio Merola chiudendo il suo intervento in occasione del 38° Anniversario della Strage di Ustica:  “e per favore non parlate in questi giorni di bomba”. Invece il depistaggio è partito, subdolamente, incuneandosi in spazi  marginali e forse non osservati con la dovuta attenzione, in programmi radiofonici Rai senza contradditorio, in pagine interne di “prestigiose” testate nazionali o in edizioni provinciali con l’avvallo di Magistrati in pensione. Sempre basandosi su falsità, ma con un nuovo obiettivo, oltre sostenere la bomba,  portare discredito sulle Sentenze della Magistratura civile che condannano i Ministeri di Trasporti e Difesa per i loro comportamenti legati alla Strage di Ustica.
Da anni si continua a sostenere la tesi bomba sulla  base di una perizia che è stata in realtà bocciata a causa dei tanti  errori riscontrati proprio dagli stessi Magistrati che l’avevano commissionata. Oggi si afferma che la Sentenza penale con la quale vengono assolti dal reato di alto tradimento i vertici dell’Aeronautica,  asserisce che il DC9 è caduto per una bomba: ancora un falso.
La Sentenza infatti sottolinea che quello che è stato giudicato è, appunto, solo il reato di Alto tradimento,  che nulla ha a che fare con la ricerca degli autori o delle cause della strage;  i Generali sono stati rinviati a giudizio e processati  per il reato di alto tradimento  per non avere  informato il Governo, nell’immediatezza dell’evento, della presenza di traffico americano in cielo, come risultava invece  dalle telefonate della notte, della presenza di un tracciato radar con una indicazione di una manovra d’attacco al DC9 e poi dell’ipotesi di una esplosione che era stata paventata dai primi soccorritori.
Lasciatemi sottolineare che gli odierni paladini della bomba sono stati processati proprio per non aver dato indicazioni sulla possibilità di una bomba, ma per aver sostenuto la tesi del cedimento strutturale! Si sostiene il falso, ma bisogna denunciare con forza ad opinione pubblica e organi di informazione che siamo in presenza di una vera e propria operazione di depistaggio. Un’operazione di depistaggio perpetuata nel momento che è in corso una  indagine della procura di Roma, alla quale si tende a togliere credibilità, e mentre sono in via di definizione processi civili sulle responsabilità dei Ministeri dei Trasporti e della Difesa.
Questo oggi è l’aspetto più preoccupante: affermando un inesistente contrasto di fondo tra Magistratura civile e Magistratura Penale si possono mettere in difficoltà davanti all’opinione pubblica collegi giudicanti. A me pare ancora importante fare queste precisazioni!
Daria Bonfietti. Presidente Associazione parenti vittime Strage di Ustica

16 luglio 2018

Caso Ciancarella... Ennesima vergogna di Stato!

Matricolare No. Non esiste in Italia un giudice a Berlino per Mario Ciancarella. Questa è l'amara costatazione dopo aver letto la sentenza del TAR di Firenze sulla restitutio in integrum del Capitano Ciancarella dopo che il Tribunale di Firenze aveva decretato la falsità della firma del Presidente Pertini sul decreto di radiazione.
Abbiamo pensato di ribaltare lo stile standard dei comunicati e quindi prima scriveremo cosa chiediamo e a chi chiediamo.
CHIEDIAMO
A CHI: al Presidente della commissione difesa, al Ministra della Difesa e al Presidente della Camera
COSA: di convocare il Capitano Mario Ciancarella presso le proprie sedi Istituzionali al fine di trovare una soluzione politica ad una palese vergogna di Stato. Chiediamo esclusivamente a loro in quanto nella precedente legislatura proprio il M5S si stupì del silenzio su questo caso presenziando alla conferenza stampa tenutasi in Parlamento dicendoci che se fossero stati al governo le cose sarebbero di certo diverse.

Adesso possiamo ricordare i fatti:
Mario Ciancarella al momento della strage di Ustica era Capitano Pilota dell’A.M. nonché leader del Movimento Democratico dei militari (che nasceva dalla contaminazione delle forze armate con la cultura sociale e democratica). Convocato e ricevuto, nel 1979, al Quirinale dal Presidente Pertini, insieme a Sandro Marcucci Lino TotaroMario Ciancarella era divenuto referente delle rivelazioni da tutta Italia delle vere o false ignobiltà che si compivano nel mondo militare.
In questo contesto, anche il maresciallo Mario Alberto Dettori, radarista a Poggio Ballone la notte di Ustica, decise di fidarsi di lui e di confidargli: "Capitano siamo stati noi..." "Capitano dopo questa puttanata del mig libico"...
Mario Alberto Dettori verrà trovato impiccato nel 1987. Sbrigativamente chiuderanno la questione dicendo che si era trattato di un suicidio.
Per questo suo ruolo di esponente di punta il Capitano Ciancarella divenne talmente scomodo da indurre "qualcuno molto in alto" a falsificare, nell'ottobre 1983, la firma del Presidente Pertini nel Decreto Presidenziale di radiazione. Un vero e proprio colpo di Stato. La copia del decreto di radiazione gli verrà consegnata, su sua richiesta, solo 10 anni più tardi e dopo la morte di Pertini.
Nell’agosto del 2016 il Tribunale Civile di Firenze ha confermato i dubbi del Capitano Ciancarella (e anche i nostri): la firma del Presidente Pertini che compare sul quel decreto è un volgare falso. Tanto è stato accertato sulla base di due perizie - una di parte ed una disposta dal Magistrato - che hanno potuto rilevare come il falso sia tanto evidente quanto eseguito con assoluta approssimazione.
L’associazione antimafie Rita Atria scrive al Presidente della Repubblica e a tutte le alte cariche dello Stato invitandole ad attivarsi per fare luce su quello che per noi è un colpo di stato “bianco”. Ingenuamente pensiamo che falsificare una filma di un Presidente della Repubblica possa interessare ai garanti di questo Paese. Niente. Silenzio. Nel dicembre del 2016 gli onorevoli Davide Mattiello e Claudio Fava portano in Parlamento il caso. Nei mesi successivi esponenti del M5S fanno interventi affinché il governo in carica prenda provvedimenti sul caso Ciancarella.
Silenzio!
A Ciancarella non rimane che ricorrere al TAR… e quello che è successo lo sappiamo. Non sono servite le evidenze del tribunale di Firenze, le sentenze del tribunale militare; non è servito il matricolare di Ciancarella dove risultava evidente lo scempio Istituzionale sulla pelle di Ciancarella; non sono servite le dichiarazioni del sindaco Leoluca Orlando che aveva seguito, negli anni ’90, il caso Ciancarella; non è servito il nostro rapporto di venti anni di lotte. Insomma, Mario Ciancarella è arrivato tardi… lui doveva presentare carte bollate… anche di fronte ad un decreto recapitato 10 anni dopo e una famiglia da portare avanti. Non entreremo nei tecnicismi della sentenza ma adesso non c’è più tempo e a quella politica che si indignava quando era all’opposizione diciamo che è tempo di trovare una soluzione ad una vera e propria ingiustizia di Stato.
Auspichiamo quindi non prevalga in questo paese l’agghiacciante logica che il ministro dell’interno ha applicato sul caso Regeni (e non solo) e cioè che i rapporti con i poteri forti di fatto sono più importanti della vita delle persone.
2 luglio 2018
Direttivo Nazionale Associazione Antimafie “Rita Atria”

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17 giugno 2018

Morte di Dettori, ascoltati tutti i testimoni

Sospetti sul suicidio del maresciallo che era di turno la notte della tragedia, indagini della Procura


GROSSETO. C’è ancora un fascicolo aperto in via Monterosa: sul frontespizio c’è scritto il nome di Mario Alberto Dettori, il maresciallo che la notte del 27 giugno 1980 era di guardia al radar di Poggio Ballone. Dettori è morto, è stato trovato impiccato a un albero in un terreno lungo la strada della Sante Mariae. Era il 1987 e il caso fu frettolosamente archiviato come suicidio anche se i familiari del maresciallo, a quella ipotesi, non credettero allora e non ci credono nemmeno oggi. La figlia Barbara, insieme all’associazione antimafia Rita Atria, ha presentato un esposto alla Procura di Grosseto che un anno e mezzo fa ha deciso di aprire un nuovo fascicolo su questo caso, ordinando l’esumazione del corpo di Dettori e chiamando tutti i testimoni che allora potevano essere a conoscenza di quello che era accaduto al maresciallo. O almeno, quelli che sono ancora in vita.

Ripescare nei ricordi di trenta o quarant’anni fa non è facile. Soprattutto non lo è per chi ha deciso di tacere già allora. «Io mi auguro che si vada avanti con l’indagine - dice Barbara Dettori - Noi aspettiamo giustizia e verità. Mio padre è morto quando io ero ancora molto giovane lasciando un vuoto incolmabile. Però tutto quello che è successo prima di allora e anche dopo, non può e non deve essere taciuto». 

Chiunque parli, chiunque conosca qualcosa sulla strage di Ustica, ha un’urgenza sola, quella di ristabilire la verità. «È necessario continuare a parlare di questa vicenda - aggiunge Dettori - è necessario che in Italia si arrivi a un punto di rottura con quello che è stato il passato: ci sono tante cose che non sono mai tornate nella vicenda della morte di mio padre e troppe persone che non hanno voluto squarciare quel velo di silenzio e bugie che si è alzato quando è cominciata questa vicenda». Sulla salma di Dettori è stata fatta l’autopsia, a trent’anni dalla morte. Il radarista di Poggio Ballone aveva parlato con un collega di quella notte. E anche a casa aveva accennato a quello che era successo in cielo, mentre lui era alla sua postazione. Furono anni difficili, quelli successivi alla strage di ustica. Anni che si fermarono, per Dettori, nel 1987. «Non lo avrebbe mai fatto - dice la figlia Barbara - Amava la vita, amava la sua famiglia. Eravamo la luce dei suoi occhi, non si sarebbe mai ucciso da solo in quel modo». 

 (f.g.)

iltirreno.gelocal.it

14 maggio 2018

Montagna Longa - La strage dimenticata

Intervista di Fabio Belli a Stefania Limiti
E' stato il più grave disastro nella storia dell'aviazione italiana prima che avvenisse la tragedia di Linate nel 2001 (1). Non si tratta della strage di Superga appena commemorata, ne del noto episodio di Ustica, sebbene vi sia in comune il territorio siciliano come luogo della sciagura.
Venerdì 5 maggio 1972 il volo Alitalia AZ112, partito da Roma-Fiumicino con destinazione Palermo-Punta Raisi, si schiantò in fase di atterraggio contro la Montagna Longa nel territorio fra Cinisi e Carini: tutte le 115 persone a bordo (108 passeggeri e 7 membri dell'equipaggio) persero la vita.
Il velivolo DC-8-43, decollato con mezz'ora di ritardo in una notte calda e senza vento, comunicò per l'ultima volta con la torre di controllo tramite il pilota comandante Bartoli che annunciò l'imminente manovra di avvicinamento alla pista 25 dell'aeroporto palermitano; pochi minuti dopo avvenne il fatale impatto (2). Nel luogo del disastro è presente tutt'ora una croce in ricordo delle vittime.
La giornalista e scrittrice Stefania Limiti, che aveva menzionato la tragedia nel suo libro "Doppio Livello" (3), ha accettato di rispondere ad alcune domande a 46 anni esatti dall'incidente, fornendo un contributo illuminante sull'intera vicenda.

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25 agosto 2017

Stazione di Bologna e Ustica: due stragi collegate: tutti hanno visto tutti hanno taciuto

Franco Di Carlo - Riccardo Castagneri-  2 agosto 1980, una data che purtroppo evoca nell'immaginario collettivo una tragedia immane: la strage alla stazione di Bologna.
Anche quest'anno le solite passerelle, personalità delle istituzioni, della politica, le solite liturgie trite e ritrite "Si deve conoscere la verità". Naturalmente le promesse che, come sempre, si arriverà a conoscere i motivi, il perché di questa strage, senza però che nessuno ufficialmente ponga l'accento sui depistaggi che hanno contrassegnato questa, così come le altre stragi, soprattutto una: strettamente collegata.
Poco si è anche parlato del depistaggio in merito all'aereo militare libico, precipitato sulle alture della Sila, in Calabria. Aereo caduto la stessa sera della strage di Ustica, il 27 giugno 1980, e opportunamente ritrovato o meglio, fatto ritrovare il 18 luglio successivo, tre settimane dopo, con un cadavere evidentemente deceduto da tempo, mentre ne volevano far figurare la morte e la caduta del caccia, lo stesso giorno del ritrovamento.
Questo quale maldestro tentativo di depistaggio atto ad evitare collegamenti con quanto accaduto il 27 giugno precedente nei cieli di Ustica.
Il 2 agosto la strage alla stazione di Bologna, conseguenza della tragedia di quaranta giorni prima.
Tutti hanno visto, tutti hanno taciuto, e coloro che non hanno taciuto, uno ad uno sono morti in circostanze anomale, misteriose, omicidi irrisolti, incidenti stradali o aerei, suicidi, infarti improvvisi.
Continuando a depistare, raccontando inverosimili favole all'opinione pubblica, parlando di attentati terroristici. Fino ad arrivare per la strage del 2 agosto alla condanna di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, i quali pur essendosi autoaccusati di altri omicidi e scontando i relativi ergastoli , non hanno mai accettato di essere ritenuti i responsabili della strage di Bologna, dichiarandosi sempre del tutto estranei e innocenti.
Singolare, in merito a questa strage, la circostanza che il presidente dell'associazione familiari delle vittime, abbia fatto carriera politica perseveri nel sostenere l'insostenibile tesi del terrorismo di destra nostrano, senza capire o voler sentir parlare dei depistaggi di Stato che avvolgono la mattanza della stazione di Bologna.
Teoremi, sull'affaire Ustica, da quel 27 giugno 1980 ne sono stati elaborati un'infinità.
Le danze, macabre  hanno inizio a pochi giorni dalla tragedia, con la favola che il Dc9 fosse un aereo molto vecchio e quindi si era verificato un cedimento strutturale dovuto a pessima manutenzione: bugia grossolana.
Poi si inizia a parlare di atto terroristico con una bomba piazzata a bordo, precisamente nel bagno dell'aereo.
Ma come avviene nel caso di menzogne esagerate, certe verità cominciano ad emergere-
Gli inquirenti cominciano a sentire le persone che quella sera erano impegnate in attività di controllo, le indagini procedono ed emerge che nei primi anni 80 in Italia esisteva una loggia massonica segreta denominata P2 che faceva capo a Licio Gelli.
Loggia con una lista di nomi eccellenti: vi appartenevano generali di tutte le Forze Armate, Carabinieri, Guardia di Finanza, esercito, marina, aviazione, questori, qualche prefetto, uomini politici e imprenditori di chiara fama.
E ci si domanda ancora se nel Bel Paese ci sia la volontà di fare luce sulle stragi? Ecco la necessità di assemblare i depistaggi, per dare in pasto all'opinione pubblica fatti anni luce lontani dalla realtà.
Va ricordato che l'allora Capo dello Stato, Francesco Cossiga, dopo aver fatto visita a terroristi rossi e neri, in un'intervista aveva ammesso che a Bologna si erano attuati depistaggi, ma che in quel preciso contesto storico non si sarebbe potuto agire diversamente.
Questa l'Italia di allora, non così dissimile dall'Italia di adesso
Anche il giudice istruttore Rosario Priore, l'ultimo magistrato ad indagare sulle stragi del 1980, arrivò ad un passo dalla verità sulla strage di Ustica.
Priore si trovò di fronte a muri di gomma: militari estremamente riottosi a collaborare, Stati che si rifugiavano in sdegnati silenzi. Priore, tetragono e imperturbabile, ha continuato ad indagare fino al 1996, sino a quando da Londra rientrò in Italia un detenuto, per terminare di scontare una condanna subita in Gran Bretagna.
Il giudice Priore e il pm Giovanni Salvi lo sentirono e da quel momento si intravide uno spiraglio di verità sulle stragi di Ustica e Bologna, grazie ad un lungo e circostanziato racconto.
Considerata la gravità delle affermazioni, i due magistrati predisposero che il detenuto arrivato da Londra fosse trasferito in una struttura di massima sicurezza, temendo per la sua incolumità.
Quel detenuto era Franco Di Carlo, che dopo aver scontato 12 anni nelle carceri inglesi, aveva voluto tornare in Italia per il residuo di pena. Di Carlo cominciò a raccontare ai magistrati quanto aveva saputo sulle stragi di Ustica e Bologna.
L'ex boss di Altofonte per molti anni era stato ospite di diversi istituti di pena inglesi, dove aveva incontrato un arabo palestinese, Nizar Hindawi, che proveniva dai campi di addestramento libanesi, fino ad essere ammesso tra i ranghi dei servizi segreti siriani.
L'agente siriano ha condiviso con Franco Di Carlo i propri segreti e i mille misteri. Good Father, come rispettosamente lo chiamavano, intervenne perché Hindawi fosse lasciato in pace dalle guardie  e questi, si legò a lui riconoscente, raccontandogli la sua vita.
L'arabo fu una miniera di notizie sulle pagine più fosche della nostra Repubblica, la strage di Bologna e il mistero di Ustica.Hindawi svelò che i motivi dell'eccidio della stazione erano da ricercarsi nella strage dell'aereo Itavia  esploso in volo un mese prima.
La sera del 27 giugno i servizi di mezza Europa e la Cia avevano saputo che la Libia aveva preparato un piano di volo per il presidente Gheddafi, un viaggio segretissimo, che tanto segreto però non si rivelò e venne progettata l'eliminazione del Raìs.
I servizi italiani, americani e francesi pensarono di mettere un caccia sulla scia del velivolo sul quale volava Gheddafi e il volo Itavia avrebbe garantito l'invisibilità ai radar, ma qualcosa non funzionò a dovere, in quanto i servizi libici vennero avvisati e allertati.
Quella sera sul Mediterraneo si scatenò una battaglia, l'aereo americano venne intercettato dai libici, intervenne un secondo aereo che colpito, precipitò in mare, sino all'epilogo: il disastro di Ustica.
Lo stesso colonnello Gheddafi ammise, anni dopo, che Ustica aveva a che fare con un attentato alla sua persona.
Racconta Di Carlo "Ai libici non era andato giù che i servizi italiani e alcuni politici avessero complottato con gli americani per uccidere il colonnello. Programmarono un attentato per farcela pagare. Bologna non fu scelta a caso, era la città dal quale era partito l'aereo Itavia".
Depistaggi, trattative e mentalità mafiosa esistono e sempre sono esistite nel nostro Paese, verità emerse in tutta la loro evidenza, continuano ad essere negate e, nel contempo, si attacca coloro che lottano per la legalità, per affossare ciò che ormai è sotto gli occhi di tutti.